Sinossi *: Il 9 maggio 1978 non è solo il giorno in cui una madre perde un figlio per mano della mafia, è anche il giorno in cui una donna decide, per prima, di rompere la tradizione dell’omertà e della vendetta.
Felicia ha come unico appoggio Giovanni, il figlio che le è rimasto, e gli amici di Peppino. Insieme a loro comincia una battaglia per la verità che durerà più di vent’anni. Anche se non ha studiato, sa che il mondo non si divide sempre a metà, che come a Cinisi, nel cuore del regno di Gaetano Badalamenti, esiste la gente onesta, così, nelle caserme dei carabinieri e nelle aule di giustizia, c’è anche uno Stato che è pronto ad ascoltarla. Deve solo trovarlo, devono solo incontrarsi.
Firma un esposto, si presenta dai magistrati, parla con i giornalisti. E come aveva sperato incontra, anno dopo anno, persone disposte ad ascoltarla.
Il primo è un magistrato di Palermo, che come lei, non ama stare zitto. Va in giro per le città della Sicilia, incontra i ragazzi, denuncia i pericoli della mafia e della droga. Si chiama Rocco Chinnici. Chinnici riprende in mano le carte della morte di Peppino e ribalta le conclusioni frettolose dei suoi colleghi. È stato un omicidio, non un suicidio o un atto terroristico, non ci sono dubbi. L’ha ordinato Badalamenti, gli dice Felicia quando lo incontra. Chinnici la ascolta, le crede, ma per istruire i processi ci vogliono le prove. E quelle, in una Sicilia in cui non esistono ancora i pentiti, ormai sono andate perse…
Non si arrenderanno, ma incriminare qualcuno per la morte di Peppino, sarà difficilissimo. Felicia è serena, piena di fiducia. La strada è in salita, ma finalmente c’è. Chinnici in quei giorni non parla solo a lei, ma anche a una ragazza che è venuta a intervistarlo per un giornalino studentesco. Si chiama Franca Imbergamo. Anche lei esce contenta da quell’incontro. Perché è siciliana, ha vent’anni e capisce che grazie a quel magistrato sta accadendo qualcosa di importante.
Lo capisce anche la mafia, purtroppo.
Il 29 luglio del 1983 Rocco Chinnici viene fatto saltare in aria. Anche di lui, come di Peppino, non deve restare nemmeno il corpo. E invece, le idee sono più forti del tritolo. Felicia piange la morte di Chinnici, sente che lo Stato non ha ancora la forza di darle una risposta, ma non vuole essere una sconfitta. Apre la sua casa, comincia a ricevere i ragazzi, a raccontare a chi viene a trovarla la storia di Peppino. Diventa un punto di riferimento per tutti i ragazzi che vogliono capire cos’è la mafia. E intanto a Palermo, il gruppo di magistrati che si era riunito attorno a Chinnici, continua a lavorare. Vengono decimati, uno dopo l’altro, ma le loro inchieste non si fermano. Sono passati quasi vent’anni dalla morte di Peppino. Vent’anni sporcati dal sangue e da un inaccettabile rosario di occasioni perdute.
Eppure, grazie al sacrificio di tanti, la Sicilia non è più la stessa. Ci sono i pentiti. E tanti giovani magistrati che portano avanti con coraggio il lavoro di chi li ha preceduti. Franca Imbergamo è diventata uno di loro. Lavora a Palermo e riprende in mano le carte di Chinnici.
Comincia ad ascoltare i collaboratori di giustizia, vuole capire se qualcuno sa qualcosa dell’omicidio Impastato. Arrivano in risposta tanti no, non lo so, non ricordo. Ma lei va avanti. E alla fine qualcuno comincia a dirle che sì… qualcosa sa…
Franca Imbergamo segue quel filo che le arriva dai pentiti e la riporta sul sentiero tracciato dalle denunce di Felicia e degli amici di Peppino.
L’inchiesta prende corpo, le testimonianze si rincorrono, trovano conferme. E finalmente le verità di una madre entrano in un processo.
Si arriva così alla data che chiude questa storia. Il 25 ottobre del 2000 Felicia viene chiamata come primo teste al processo contro Badalamenti. È anziana, ormai, cammina aiutandosi con un bastone, morirà solo quattro anni dopo. Ma sono ventidue anni che aspetta quel giorno. Può sedersi in un’aula di giustizia perché questa volta non è più lei che ha bussato inutilmente alla sua porta, è lo Stato che è venuta a cercarla. Davanti a lei, in videoconferenza, perché è ospite di una galera americana, c’è Badalamenti. Felicia lo guarda negli occhi, senza paura, e finalmente può dirgli in faccia quello che per tanti anni ha gridato solo in solitudine: “tu hai ucciso mio figlio”. Badalamenti verrà condannato all’ergastolo l’11 aprile del 2002. Due anni prima, il 6 dicembre del 2000, la commissione parlamentare antimafia aveva approvato all’unanimità la relazione sul “caso Impastato” in cui venivano accertate le responsabilità di rappresentanti delle istituzioni per i depistaggi sulle indagini dell’omicidio.