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Marcello Guidetti  (26/02/2007 @ 19:46)
Dispiace dirlo ma da Monicelli ci si aspettava davvero di più. C’era molta attesa per il film del maestro, si era parlato delle sue sfuriate con la troupe e gli attori durante le riprese e si era pronti ad assistere al capolavoro. Però, “Le Rose del Deserto”– questo è il titolo – è un film che potremmo definire appena “carino”, con piena consapevolezza dell’inutilità semantica di questo aggettivo. Ma davvero non si riesce a trovarci niente di incisivo e di appena più profondo. E’ carino in quanto quasi superficiale, con personaggi che diventano macchiette incastrate in ruoli già visti e rivisti (Haber, che occasione sprecata!). Pasotti si muove in modo incolore, senza riuscire a lasciare il segno, ma è la sceneggiatura che non riesce a far decollare la storia. Aspettiamo inutilmente che succeda qualcosa ma non succede nulla, siamo sempre a parlare di Italiani brava gente, che facevano la guerra senza crederci, che volevano aiutare i poveri Libici mentre i Tedeschi erano spietati…insomma molta retorica e poche novità. Monicelli ripropone il solito cliché di italiani furbi e scansafatiche ma dal cuore grande...niente di nuovo e anche il sarcasmo non punge perché sa di vecchio: il nostro esercito sempre a mezza via tra il ridicolo e l’assurdo,che travolto dagli eventi riesce a tirar fuori il lato umano…ma ce l’aveva già raccontato (e meglio) tanto tempo fa.
Battista Passiatore  (07/12/2006 @ 23:15)
Attesissimo ritorno sulle scene di un grande maestro del cinema italiano, attivissimo all'età, per nulla dimostrata, di novantuno anni, Mario Monicelli alla sua sessantacinquesima regia di lungometraggio per il cinema (ha una vasta carriera anche di sceneggiatore, e vanta diverse esperienze nel cortometraggio, nel documentario e nella regia teatrale), torna a temi di guerra, pur se da un'ottica decisamente diversa da "La grande guerra". La storia è stata elaborata sul racconto "Il deserto della Libia" di Mario Tobino, quindi ambientata nei duri giorni che l’esercito italiano affrontò, durante la campagna d’Africa del 36’. Nel tratteggiare personaggi diversi, ognuno col proprio temperament (lodevoli le interpretazioni di Giorgio Pasotti, Alessandro Haber e Michele Placido), Monicelli entra nel vivo di quella che è la sua tesi: l'esercito italiano è stato inviato in Libia senza essere né preparato a combattere né motivato a farlo. L'aria sembra essere più quella di una vacanza anziché quella di un esercito in guerra. Ufficiali e truppa sono convinti che resteranno lì poco tempo e che presto torneranno a casa, subito dopo l'immancabile vittoria della guerra da parte delle truppe dell'Asse. Questa almeno è stata la propaganda del regime fascista che li ha spediti nel deserto. Ma l'impatto con la realtà della guerra non tarderà ad arrivare con il suo carico di dolori e di tragedie. Forse non raggiunge la perfezione quest'ultima fatica di Monicelli (sicuramente non è paragonabile a "La grande guerra") ma è da premiare il coraggio e la grinta del regista nel realizzare una commedia bellica graffiante (con sferzate comiche, aneddoti e risate a denti stretti) dal sapore agrodolce.

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