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Battista Passiatore  (12/12/2006 @ 21:51)
Per non dimenticarti è il primo lungometraggio di Mariantonia Avati, figlia di Pupi, da cui molto ha ereditato. Nel cast, tanti volti famosi, soprattutto grazie a fiction e film per la tv: Anita Caprioli (Manuale d'amore e Cime tempestose); Ettore Bassi, l'eroe di Carabinieri; Lillo della coppia comica Lillo&Greg; Francesca Antonelli, che in molti ricorderanno dai tempi de I ragazzi del muretto, ecc. Scritto dal fratello di Pupi, Tommaso, che ha voluto portare sullo schermo una storia ambientata nella Roma del 1947, incentrata su Nina (Anita Caprioli), una giovane moglie in attesa del suo primogenito. La donna, però, vivrà una gravidanza travagliata, a causa della quale dovrà essere ricoverata in ospedale; qui farà la conoscenza di diverse signore, provenienti dai più svariati ambienti della società romana. Si tratta dunque di un'opera minimale sui sentimenti, con in più una forte impronta di religiosità di stampo cattolico, una Roma raccontata come se fosse una città di provincia, ma senza il cinismo di Pupi. Però qui racconto minimale significa anche narrazione di basso profilo, con in aggiunta una totale assenza dello sfondo storico (difetto aggravato dalla messa in scena tutta in interni), fatto che ha dato vita a un film dove è claustrofobicamente assente ogni seppur minima ricerca di ampio respiro, e dove tutto suona completamente falso. L’opera degli Avati è un’occasione perduta per realizzare un film di donne, genere praticamente assente dal panorama cinematografico nazionale: peccato che, invece di tentare almeno di ispirarsi un po’ ad artisti come Bergman e Almodóvar, si sia preferito guardare alla nostrana fiction televisiva, dove, in effetti, molti personaggi femminili regnano sovrani. Probabilmente Per non dimenticarti avrebbe potuto giovarsi proprio dal venire realizzato come opera per il piccolo schermo, traendo magari beneficio da una maggiore durata, grazie alla quale si sarebbero potute scandagliare in maggiore profondità le psicologie dei personaggi.
Marcello Guidetti  (05/09/2006 @ 00:00)
L’intento di Mariantonia Avati, qui al suo debutto cinematografico, è quello di realizzare un corale femminile sull’Italia del dopoguerra. Sicuramente l’idea di ambientarlo in un reparto maternità e quindi di descrivere quelle che erano le speranze e le attese delle donne italiane nel dopoguerra è originale. Da qui si dovrebbe avere uno spaccato sociale dell’Italia di quegli anni: la ragazza di buona famiglia (Anita Caprioli che continua a percorrere un suo cammino di ricerca di ruoli originali all’interno del nostro cinema ma qui un po’ troppo monocorde), quella che si arricchita con la guerra, la moglie del gerarca, la ragazza incinta di un soldato nero cacciata dalla famiglia, la moglie del portantino con tanti figli, la prostituta etc. Eppure questo ritratto non riesce a convincere. Forse l’immagine che ne esce è quella stereotipata e semplificata della foto di gruppo con tanti personaggi sospesi e non approfonditi; la protagonista è forse troppo ”perfetta” per essere reale. Ho poi alcune perplessità sui dialoghi (davvero negli anni ’40 ci si diceva “In bocca al lupo” come si farebbe oggi ? Davvero i rapporti personali pure tra donne e in contesti come quello di un ospedale erano così diretti ? Ci si baciava in pubblico senza problemi pure tra persone non sposate come avviene spesso in tutto il film ?)e sulla vero-simiglianza di alcune scene (il pranzo in ospedale con tutta la famiglia e poi la scena del ballo). I personaggi, come ho già detto, sono abbozzati e restano macchiette senza arrivare ad essere credibili: la vicina di letto pettegola ma dal cuore grande, la prostituta che teme l’arrivo del marito etc. Un film manierista si potrebbe dire, che non aggiunge e non toglie nulla a quanto già visto, televisivo e sentimentale. Eppure sono sicuro che piacerà molto al pubblico femminile perché pur nel molto materiale che la regista mette dentro, fa emergere quella solidarietà femminile tanto ricercata e di cui si parla tanto in questi anni.

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