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Vito Attolini  (31/08/2006 @ 00:00)
Girato in digitale, Nicola Lì dove sorge il sole è la rievocazione di un’impresa cara alla nostra tradizione popolare, quella che si concluse con il trafugamento e la successiva traslazione delle reliquie di San Nicola da Mira a Bari nell’anno 1087. I marinai “che fecero l’impresa”, per richiamare il titolo di un film, pure “medievale”, di Avati, furono ferventi devoti del santo e vi furono spinti da un insopprimibile impulso religioso che li indusse ad una rischiosa missione non imposta da altro che dal proprio sentimento. L’operazione, come si sa, andò a buon fine, le reliquie giunsero a Bari, ma l’ultimo atto della vicenda fu movimentato da uno scontro fra i marinai che l’avevano condotta a termine e le autorità ecclesiastiche, convinti i primi di dover ergere una Chiesa in onore del santo, decise le seconde a sistemare le reliquie nella Cattedrale già esistente. Contrasto che provocò una vera e propria rivolta, con la definitiva accettazione delle richieste della popolazione da parte del vescovo Ursone che per primo vi si era opposto. Il film realizzato con la regia di Vito Giuss Potenza, giovane filmaker barese, che ha scritto la sceneggiatura con Luca Vessio (interprete pure del marinaio Digizio) e Antonio Garofalo, è frutto di un entusiasmo e una determinazione che hanno letteralmente fatto miracoli, se si pensa all’esiguità di un budget che non sarebbe sufficiente neppure per il più modesto effetto speciale di un kolossal. A favore del film c’è però una intelligente impostazione narrativa e, presumibilmente, l’insegnamento della nostra tradizione cinematografica nel campo del film storico sul Medioevo (si pensi a Rossellini e poi Pasolini). La prospettiva di Nicola dal punto di vista degli autori dell’impresa, poveri marinai ricchi soltanto di fede, giustifica perciò il pauperismo della messa in scena e legittima quell’assenza di spettacolarizzazione che caratterizza altrimenti il modello del film storico o ambientato nel lontano passato. Per ottenere questo risultato Nicola privilegia gli scorci, i dettagli visivi sull’insieme, raggiungendo per altra via un innegabile sapore di autenticità. Nonostante la spinta religiosa, devozionale da cui, secondo il film, furono mossi i sessantadue marinai che sfidarono il mare su incerte imbarcazioni per raggiungere le lontane località dell’Asia minore, è soprattutto la loro scabra umanità ad emergere nel quadro complessivo della ruvida e disadorna immagine di una realtà minuta e aspra, suggerita dall’uso del dialetto (che perciò ha imposto i sottotitoli), quale è quella di un’età così lontana, che il film ci restituisce soprattutto nella sua quotidianità dimessa e realistica. A ciò contribuisce il felice apporto di un numeroso gruppo di attori, fra cui alcuni professionisti, dai tratti popolareschi, che meriterebbero tutti una menzione. Qui ci limitiamo a segnalarne alcuni, come l’intenso Vito Signorile nel ruolo dell’abate Elia, che con la sua capacità di mediare contribuì alla composizione del contrasto, Rocco Servodio in quello dell’irascibile vescovo, Paolo Sassanelli come popolano, Dante Marmone, Cris Chiapperini. E da ricordare sono pure i due “camei” di Andrea Giordana che presta il suo volto per il santo e di Massimo Dapporto come astuto faccendiere. Le scarse risorse finanziarie, certo, si avvertono, specialmente nelle scene della ribellione dei marinai e della popolazione al veto del vescovo Ursone o nella sequenza della tempesta che coglie i marinai sulla via del ritorno. Scorrevolmente narrato, con accorta sensibilità figurativa esaltata da una fotografia forse fin troppo “lucida” e con una colonna sonora che avremmo preferito più “filologica”, Nicola è un risultato, pur nei suoi limiti, da non sottovalutare, quando si rintraccino le sue ragioni nella più genuina tradizione popolare e religiosa delle nostre genti.

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