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Noela Gori  (05/11/2007 @ 18:45)
Michele ed Elsa hanno una bella casa, una figlia e le loro vite sembrano scorrere nella più assoluta tranquillità, se non fosse che Michele è stato estromesso dall’azienda che ha fondato e non lavora da più di due mesi. Perché aspetta così tanto a dirlo alla moglie? Elsa si è appena laureata in Storia dell’arte e lavora, senza compenso, al recupero di un restauro del Boniforti, Elsa conta su di lui e gode dei privilegi che il loro status sociale offre. Una volta messa al corrente della nuova situazione inizia per loro il drammatico confronto con la realtà: i due protagonisti, disorientati, dovranno fare i conti con le incertezze di questo nuovo quadro economico e familiare. Ed ecco che quello che all’inizio poteva presentarsi come un film sociale si veste e riveste sempre più di un carattere intimista; non si tratta di un film sulla precarietà intesa secondo l’accezione politica; è piuttosto una storia che parte dalla realtà di oggi per poi farsi introspezione. A differenza di “Pane e Tulipani” e “Agata e la tempesta” qui non si sceglie di cambiare, non ci si concede del tempo per pensare. Si è costretti a farlo. C’è un lavoro da trovare e una vita da ri-costruire sotto un cielo, quello di Genova, dove le nuvole scandiscono ritmo ed emozioni. Il tempo dell’attesa porta con sé sofferenze taciute ed esplosioni di rabbia improvvise che rendono complicata la comprensione reciproca. La contemplazione dell’affresco ritrovato del Boniforti, l’arte che va al di là dell’umano giudizio, ricompone gli scompensi creatisi mettendo in evidenza cha l’amore rimane l’unico valore attraverso il quale si può dare un senso compiuto alla vita.
Battista Passiatore  (25/10/2007 @ 12:31)
Una coppia felice, benestante, lui direttore d’azienda, lei restauratrice per passione, con figlia lavoratrice a carico. Hanno una bella casa, una bella macchina e addirittura una barchetta, grazie alla quale si dilettano nei weekend per il porto di Genova. Fino a quando la pace familiare e sentimentale viene frantumata da una tremenda crisi finanziaria. Lui perde il lavoro, estromesso dalla sua stessa azienda, finendo per far entrare in crisi non solo la propria esistenza, ma il proprio stesso matrimonio. Soldini abbandona per una volta i toni da commedia a lui più congeniali realizzando un film “sociale”, attuale, maledettamente “vero”, filtrandolo attraverso una storia d’amore, inquadrata con una camera in spalla nervosa, che sta sempre “addosso” ai due protagonisti (alla Muccino per intenderci). Un ritratto duro, spietato, proprio perchè reale e fattibile, di una società pronta a portarti via tutto nel giro di un batter d’occhio, certezze comprese. Come sempre bravissima Margherita Buy, piacevole conferma Antonio Albanese, per un film forse troppo spesso “forzato”, soprattutto in alcuni dialoghi, troppo attento a voler essere di “denuncia”, e che non ha la forza e il coraggio di osare fino in fondo.

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