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Interviste ai protagonisti del film "I Cinghiali di Portici"


Storie vere di vita dura per i protagonisti del film di Diego Olivares.


Interviste ai protagonisti del film
Una scena del film "I Cinghiali di Portici"
Nini Bruschetta (Ciro)
Io amo questo film, molto al di là della mia presenza in esso. Lo amo perché lo trovo semplice, “leggero” e tragico.
Ho amato farlo perché Diego Olivares ha imposto ai ragazzi che lo hanno interpretato un lavoro che condivido pienamente; li ha portati in comunità, li ha fatti vivere e convivere con gli ospiti della comunità stessa e li ha fatti diventare dei veri giocatori di rugby. Solo dopo li ha fatti recitare, come se ce ne fosse stato bisogno… poiché è facile vedere che la loro recitazione è semplicemente “vera”.
Diego aveva chiesto anche a me di seguire, almeno in parte, questo metodo, ma io mi sono fidato della mia esperienza, in quanto sono stato un giocatore di rugby e ho lavorato in una comunità terapeutica come volontario al fine di poter accedere all’allora difficile privilegio dell’obiezione di coscienza al servizio militare.
Durante la lavorazione del film credo di aver stabilito con i ragazzi un rapporto molto personale, ho sentito chiaramente di avere anche una certa autorità nei loro confronti, mi accorgevo di essere seguito in certe iniziative, voluto bene da alcuni, dai più deboli in particolare, forse ero antipatico a quelli che non me lo dicevano, forse c’era qualcuno che mi odiava proprio per il ruolo che interpretavo o per ciò
che sono.
Non mi sono dovuto sforzare, non ho dovuto fingere per essere un personaggio che pensa cose molto simili a quelle che penso io. Il rugby sì: perché è disciplina, sport duro e leale, difficile come il rimbalzo di una palle ovale. La comunità, la terapia, le parole, le regole inventate, la psiche dei ragazzi, le loro reazioni, chissà… chissà se serve chiedere a qualcuno di cambiare, forse basterebbe aiutarlo ad essere se stesso o forse è semplicemente impossibile essere qualcosa di diverso dal severo destino che ci viene assegnato.
Ricordo una battuta, che dico in questo film, in cui credo ci sia tutta la mia motivazione e quella del mio personaggio: “io sono un giocatore di rugby… è questo quello che so fare e questa è l’unica cosa che vi posso insegnare…”

Carmine Borrino (Raimondo)
Vengo dalla 167, un quartiere così detto difficile, come ormai tutti sanno.
Durante la preparazione del film siamo stati ospiti della comunità il Pioppo di Somma Vesuviana. Io non ero mai stato prima in una comunità di recupero, però i ragazzi che la frequentavano li conoscevo…
Con qualcuno di loro avevo anche giocato a pallone da ragazzino… Nelle settimane in cui sono stato lì dentro mi sono domandato spesso, perché?... Perché stavamo nello stesso posto, venivamo dallo stesso quartiere, avevamo più o meno la stessa età eppure loro stavano dentro a tentare di salvarsi dal problema e io fuori…A fare l’attore! A cercare di “interpretarli”…
A salvarmi credo sia stata la musica… Mio padre mi iscrisse al conservatorio, corso di chitarra… La musica è innanzitutto esercizio, disciplina…
E poi un'altra cosa che credo mi abbia evitato di cadere in certi giri sia stato il fatto che a casa mia girassero pochi soldi…
Il sabato, quando i miei amici venivano a chiamarmi per andare in giro io non potevo. Loro andavano ai rave party ma io dovevo lavorare, facevo il cameriere in un ristorante…
A rugby non avevo mai giocato, ma mi è piaciuto molto imparare questo sport…
Dino, il nostro allenatore, mi ha detto che ero davvero portato e poi in campo avevo un ruolo bellissimo, mediano di apertura. Un ruolo dove ci vuole intelligenza, fantasia… E tutto in fondo dipende da te, da come imposti il gioco…

Vito Colonna (Mimmo)
Sono di Bagnoli. Prima lavoravo in un azienda di imballaggi ma poiché soffro di asma dopo diverse crisi ho dovuto andarmene.
Con la droga ho avuto pochissimo a che fare, ho tirato la coca una volta solo e mi sarò fumato due o tre canne, forse anche per questo in comunità ho fatto molta fatica ad integrarmi con gli altri.
All’inizio i tossici mi facevano anche un po’ paura e stavo attento che non mi rubassero le mie cose…
Il mio personaggio mi assomiglia molto, per lo meno mi assomigliava all’epoca in cui abbiamo girato il film perché adesso sono dimagrito parecchio anche se una ragazza fissa non l’ho ancora trovata. Adesso Diego mi ha detto che sarò in primo piano sul manifesto del film e spero che questo mi aiuti a trovare una ragazza che mi piace perché si sa che le donne sono sempre colpite da queste cose…
Il rugby non lo conoscevo, adesso mi piace ma più come spettatore, non sono portato per lo sport e una volta girando una scena sono pure svenuto…
Vorrei fare l’attore ma non ho i soldi per fare scuole o trasferirmi a Roma per cui mi esercito facendo dei monologhi davanti allo specchio oppure insieme a mia madre.
Ho scritto molte sceneggiature, ho girato dei corti, faccio i tatuaggi e dipingo…
Attualmente faccio il magazziniere presso la base NATO di Bagnoli.

Michele Gente (Rocco)
Sono originario di Arzano e ho giocato molti anni a rugby con la squadra allenata da Dino Borsa. Fin da quando sono piccolo mi sono abituato a vedere ragazzi fatti di eroina che collassavano a pochi metri dalla mia scuola e l’unica cosa che riuscivo a pensare di loro era che fossero degli stronzi. Quando siamo stati in comunità all’inizio avevo un po’ paura, anche per una questione di igiene…
Con il passare dei giorni abbiamo fatto amicizia e ho trovato ragazzi uguali a me, con gli stessi problemi e le stesse debolezze. Insegnare loro a giocare a rugby per me è stato molto bello. E’ una esperienza che non dimenticherò quella di questo film anche se credo che resterà l’unico film della mia vita.
Mi sono laureato e adesso lavoro in giro per l’Italia nel campo dell’informatica…

Salvatore Grasso (Pasquale)
Sono nato a Toiano, un rione di Pozzuoli. Ho cominciato molto presto con i furti. Prima facevo i furti di antichità al rione Terra poi sono passato ai furti di auto e le rapine…
La coca in effetti l’ho conosciuta per questo, per dimostrare a certa gente che io, che a diciotto anni pesavo trentadue chili, ero in grado di fare certe cose, di maneggiare le armi… Credo di aver fatto del male a parecchia gente per colpa della coca...
Con gli anni, pian piano, il problema della droga adesso l’ho superato, ho cominciato a fare il ragioniere al mercato del pesce di Pozzuoli e pur avendo fatto solo due anni di ragioneria posso dire che oggi potrei insegnare il mestiere a parecchi diplomati…
Quando Diego mi ha scelto per il film e mi ha portato a fare la preparazione alla comunità il Pioppo, sono entrato in contatto con ragazzi che alla fine avevano il mio stesso problema… Lì dentro proprio non riuscivo a sentirmi un attore, in fondo mi sentivo ancora più tossico di molti di loro e almeno loro stavano facendo qualcosa per salvarsi!…
Dentro non ci sarei mai rimasto, io scappo sempre… Ma almeno ho deciso di approfittare di quei giorni per parlare con qualcuno, soprattutto con Fabio, un ex tossico che adesso faceva l’operatore. Lui faceva la terapia con la musica, mi ha portato nella stanza degli strumenti e me ne ha fatto scegliere uno, io ho scelto la batteria, lui mi faceva le domande: hai problemi con la coca? Hai problemi con la
famiglia?...
Io non dovevo rispondere con le parole, dovevo rispondere con i suoni!… E mi sembrava di sfondarli quei tamburi!
Girare I Cinghiali di Portici è stata un’ esperienza bellissima, soprattutto perché era tutto vero e perché in fondo il personaggio di Pasquale che scappa sempre mi assomigliava moltissimo! Il rugby non lo conoscevo per niente ma imparare a giocare mi è piaciuto davvero, soprattutto perché ho potuto dimostrare che anche io, col mio fisico esile, potevo fare meglio di molti che invece sembravano degli
armadi…Cadevo, ma mi rialzavo sempre!…Sono magro ma veloce, più veloce di tutti!...
E c’è una scena del film dove io vado in meta, una meta bellissima!
Quella è una scena vera, non è finzione! Quella meta l’ho segnata veramente!...

Sergio Longobardi (Salvatore)
Sono nato a Torre Annunziata,un posto dove almeno in quell’epoca (gli anni ottanta) un ragazzo aveva due sole opportunità: farsi di eroina o andarsene, io ho sfiorato l’eroina, ho avuto molti amici che si facevano ma poi per mia fortuna me ne sono andato, in Francia!
Lì ho cominciato, quasi per caso, a fare teatro di strada, facevo il clown, e ho capito che regalare un sorriso alla gente era una cosa bella, una cosa che mi gratificava…
Non ho mai fatto scuole nè laboratori ma ho avuto la fortuna di incontrare gente come Pippo del Bono con il quale ho fatto una esperienza bellissima.
Rispetto al film, all’inizio ho avuto delle difficoltà non da poco, ero il più grande di tutti e questo mi ha messo in condizione di sentirmi in qualche modo diverso, poi pian piano in comunità sono nate amicizie, scambi di esperienze e di pezzi di vita che era vera, che sentivi addosso come profondamente vera e incredibilmente vicina…
Perché l’eroina poi è una droga bella, una droga romantica…
Profondamente diversa dalle droghe chimiche di adesso. L’eroina è una droga che ti porta all’isolamento, al rifiuto degli altri, forse solo per paura, per vera o presunta mancanza di amore.
Le droghe chimiche di adesso sono le droghe di chi, al contrario, ha bisogno di omologarsi, di sentirsi in qualche modo “uguale” agli altri…
Un segno dei tempi, forse!...
Fare questo film per me è stato un punto di svolta, con molti dei ragazzi si è rimasti amici, Carmine Paternoster per esempio adesso lavora in teatro con me, questa estate abbiamo uno spettacolo che insieme porteremo in giro per l’Italia!
Il rugby non lo conoscevo affatto, eppure io che di natura non sono uno sportivo, mi ci sono appassionato e adesso se mi capita una partita in tv la guardo con piacere.
Gli allenamenti hanno creato il gruppo.
A rugby hai bisogno di fidarti dei tuoi compagni…
Se loro non ci sono, se non ti assistono con tutta la loro forza, sei fottuto!...
E poi ho cominciato ad aver voglia di vincere, mentre giravamo, mentre giocavamo…
Perché poi nella vita non puoi sempre perdere, almeno qualche volta, almeno ogni tanto, devi pure vincere!…

Carmine Paternoster (Rosario)
Vengo da Mater Dei, un quartiere popolare. Sono stato tossicodipendente per molti anni ma alle comunità non ci ho mai creduto… Mi sono fatto cinque anni di carcere e nonostante mi fosse stata data l’opportunità di scontare la mia pena in comunità, alla fine ci ho rinunciato…
Dentro di me sapevo che dalla comunità sarei scappato, mi avrebbero ripreso e alla fine avrei scontato una pena ancora più lunga, perciò mi sono abbracciato la croce e ho scontato tutta la pena in carcere.
In carcere devi organizzare il tuo tempo molto bene se non vuoi impazzire… Io ho fatto un laboratorio teatrale, una cosa che mi ha subito appassionato… E poi leggevo, la lettura è sempre stata una passione per me, fin da piccolo!…
Quando sono uscito, però, ho ricominciato a farmi, subito!
E anche quando abbiamo girato il film mi facevo di brutto…
Ero in crisi ma non volevo rinunciare, non sono uno che rinuncia, io!
Perciò mi nascondevo, cercavo di non farmi scoprire.
Con qualcuno dei compagni mi sono confidato, con Raimondo che mi ha dato una grossa mano a livello psicologico e poi con Vito, perché faceva il tatuatore e io volevo che mi facesse un tatuaggio sul braccio, ma il mio braccio era pieno di segni e perciò ho dovuto dirglielo per forza…
Ma tanto poi ho capito che lo sapevano tutti!...
Una volta mi hanno beccato poco prima di girare una scena. Diego mi ha portato sul set e ha cambiato la scena senza dirmi niente…
C’era Sergio che parlava, raccontava un sogno che non avevo mai sentito, sulla sceneggiatura non c’era!…Ho capito che era una cosa rivolta a me e nella scena si vede che io guardo verso l’alto…Mi ero commosso ma non volevo farmi vedere che piangevo…
Il rugby non lo conoscevo per niente ma alla fine mi è piaciuto…
Anche se quella palla ovale non riuscivo mai ad afferrarla, infatti c’è una scena in cui io vado in meta che abbiamo dovuto ripetere un sacco di volte per questo motivo…
Non riuscivo mai ad afferrare quella palla tutta storta…
E io pensavo proprio che in fondo era come la mia vita…
Adesso continuo a fare teatro, mi piace ma non so se continuerò…
Non dico mai che faccio l’attore!...
Adesso sto bene, ho fatto una terapia, sono anni che non mi buco più.
Non so se mi sono salvato, in queste cose non si può mai dire…
Ad aiutarmi credo sia stata la fiducia…
Ad un certo punto ho cominciato a vedere un sacco di gente che mi dava fiducia, che mi offriva delle opportunità…
E mi sono domandato, perché? Forse allora anche io valgo qualcosa...

Vincenzo Pirozzi (Tony)
Sono della Sanità, uno dei quartieri difficili di Napoli, perciò certi problemi li ho conosciuti molto da vicino fin da piccolo.
A tenermi fuori da certe cose credo siano state soprattutto la mia famiglia e il grande amore che ho sempre avuto per il cinema e il teatro. Da bambino amavo molto il genere horror e passavo intere giornate a vedere film.
Ho fatto parti più o meno piccole in molti film che si sono girati a Napoli anche se mi scoccia un po’ il fatto che mi prendono sempre per ruoli da cattivo…
Girare i “Cinghiali di Portici” per me è stata una esperienza molto bella sia nella fase di preparazione che sul set.
Stare in comunità è stata dura perché anche se come ho detto certi problemi li conoscevo già, vivere accanto a storie dure e terribili come quelle dei ragazzi che stavano lì dentro è una cosa che ti lascia il segno.
Sul set c’era sempre molta emozione perché sentivi che anche se eravamo attori e stavamo recitando una parte, in realtà eravamo solo noi stessi e questo credo che sia una cosa che nel film si sente molto…
Mi è piaciuto molto anche imparare a giocare a rugby e anche se il mio ruolo in squadra all’ inizio non mi piaceva molto, alla fine mi ci sono appassionato.
Vorrei diventare attore anche se la mia vera passione è la regia.
Ho girato dei corti e ho scritto delle sceneggiature che spero di riuscire a realizzare.
Insieme a Carlo Caracciolo, che ho conosciuto facendo questo film, abbiamo messo insieme una compagnia teatrale all’interno della Sanità e abbiamo fatto diversi spettacoli che hanno avuto anche buone critiche sui giornali.

Luca Riemma (Nunzio)
Il film è stato duro, ma c’è stata anche la gioia…Un po’ come una gravidanza.
Noi involontariamente siamo stati un esempio per i ragazzi nella Comunità, quando facevamo la preparazione, ma è stato un esempio reciproco.
Con questo film ho capito che allenare il corpo e la mente, faticare, sfogarsi, può servire, è un po’ come dare i calci al pallone e non alla vita.
Penso che la droga possa essere tante cose, non per forza l’eroina o la cocaina…
La mia droga ad esempio è stata la pittura, dipingo da quando avevo otto anni, non posso farne a meno, sono dipendente da questo e forse per questo non sono diventato dipendente da una sostanza.
C’era comunque la voglia di non farmi male, forse la fortuna è stata pure che non sono uno troppo curioso…
Poi c’è stato l’affetto… è un bisogno vitale, come l’aria che respiriamo e a me quello non mi è mai mancato.
Ho sentito per tutto il film un senso di nostalgia, non so perché, è come se avvertissi già la musica prima che ci fosse veramente, si sentiva.
La macchina da presa per me era come l’educatore dentro la comunità. Quando partiva la macchina da presa tutti noi ci comportavamo come i ragazzi tossici si comportavano in comunità quando arrivavano gli educatori…Dava rigore!

Claudio Russiello (Agostino)
Sono di Arzano e anche io faccio parte del gruppo della squadra di rugby.
Non sono mai stato tossico ma ho avuto molti amici che lo sono stati perché poi dalle mie parti è una cosa molto comune…E forse questo mi ha aiutato a non avere grossi problemi ad integrarmi con gli altri all’interno del gruppo in comunità.
Forse è stato un po’ più difficile con quelli di noi che invece si sentivano attori solo perché erano stati un paio di volte davanti a una macchina da presa. All’inizio mi erano antipatici, poi col tempo ci siamo sciolti e con parecchi di loro siamo rimasti amici.
Dopo il film ho fatto anche qualche altra piccola cosa tipo qualche puntata de “la squadra” e cose del genere ma l’emozione che ho provato girando questo film è una cosa irripetibile…
Perché il primo film, secondo me, è un po’ come la prima fidanzata…
Non potrai mai dimenticarla!

Donato Saviano (Massimo)
Sono di Arzano e anche io ho giocato a rugby con la squadra locale allenata da Dino Borsa. Quando Diego mi ha scelto per fare il film ero da poco entrato nella squadra e infatti gli altri sono stati un po’ invidiosi che io, che ero l’ultimo arrivato, subito sono stato scelto. Io non ho avuto esperienze di droga a parte le solite cose di ragazzi, perciò il periodo di preparazione in comunità anche per me è stato molto duro, soprattutto i primi giorni perché quelli di noi che avevano fatto già qualche cosa al cinema o in televisione se la tiravano parecchio.
Dopo un po’, cominciando a conoscerci meglio tutti, vedevo che eravamo diventati un solo gruppo, che non c’era più distinzione tra attori e non attori…Eravamo solo dei ragazzi che lavoravano e che si allenavano insieme, però le storie che ho sentito lì dentro non credo che le dimenticherò mai più…
Dopo il film ho rincontrato un paio di ragazzi della comunità che erano usciti ma purtroppo stavano di nuovo col problema…
E ho capito che il brutto dell’eroina è proprio questo, non sai mai se ti ha lasciato veramente…

18/12/2006