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Conferenza Stampa (Milano, 29/01/2007): La Cena per Farli Concoscere


Una pellicola sospesa tra sentimentalismo e analisi sociologica per Pupi Avati.


Conferenza Stampa (Milano, 29/01/2007): La Cena per Farli Concoscere
Pupi Avati durante la conferenza stampa
Sospeso tra sentimentalismo e analisi sociologica, La cena per farli conoscere č un film che convince solo a tratti. Secondo Pupi Avati – che abbiamo incontrato ieri all’anteprima milanese del suo film per la stampa – nella societŕ contemporanea continua a mancare all’appello una figura importante, quella del padre.
"Non solo la mia generazione, a causa della guerra, ha dovuto patire spesso l’assenza di un padre, qualcuno con cui parlare e interloquire alla sera, in quel modo tutto speciale con cui ci si racconta le cose tra uomini. Ma io stesso mi rendo conto di essere stato un padre assente. Posso rifarmi soltanto adesso, con mio nipote, ma non č affatto la stessa cosa. C’č un divario generazionale troppo ampio".
Nelle intenzioni di Pupi Avati, dunque, la storia dell’attore televisivo caduto in disgrazia dopo un intervento di restyling agli occhi mal riuscito (il Sandro Lanza interpretato da un Abatantuono fin troppo contrito e sottotono) – che con il suo tentato suicidio richiama attorno a sé le tre figlie che lo conoscono appena - avrebbe dovuto simboleggiare la chance che la vita a volte ci offre per rimarginare certe ferite. O certi errori di gioventů.
“Quello che volevo dimostrare – continua a raccontare Avati – č che alla fine della storia, le tre sorelle, che vivono in tre cittŕ dell’Europa, Roma, Parigi e Madrid, nonostante abbiano madri diverse e nutrano un certo rancore verso un padre che si č cosě disinteressato di loro – ricostruiscono un legame, si sentono, forse per la prima volta, una vera famiglia.”
Non fa una piega, per caritŕ. Ma non stiamo parlando di un racconto a tinte chiaroscurali, né di un romanzo polifonico che ruota attorno ai destini di un casato. Stiamo parlando di un film, a conti fatti, ben piů modesto. Ed č qui che sorgono le maggiori perplessitŕ. Lo spazio e il ruolo attribuiti ad argomenti cosě intimi e sentiti dal regista (“il mio film č stato ispirato da una vero e proprio sentimento di nostalgia per il padre”) rimangono confinati nelle pagine della sceneggiatura, senza tradursi in una messa in scena adeguata che dia sostegno al dettato narrativo. In altri termini, Avati mette troppo carne al fuoco e finisce per dire e dimostrare troppo.
Volendo anche far sorridere, piangere, riflettere. E ispirandosi - per sua stessa ammissione - a un modello alto (forse troppo alto?) di commedia, quello di “Una vita difficile” di Dino Risi (a cui Avati rende omaggio mettendo in bocca a Sandro Lanza piů volte la stessa battuta: “Ma perché Dino Risi non mi ha mai chiamato neanche per dire una battuta?”)
Ma Avati cede anche alla tentazione di condire le raffigurazioni delle tre sorelle (Ines Sastre, Vanessa Incontrada e Violante Placido) con annotazioni biografiche o inserti un po’ troppo fuori registro: la parigina Ines č malata di cancro al seno e attende per tutto il film un responso clinico, la spagnola Clara č umiliata da una relazione dai contorni ambigui con il marito, medico chirurgo sempre ubriaco, la romana Betty appassisce dentro un matrimonio borghese con un mezzo maniaco che sogna di palpeggiare i capelli di ogni sorella che gli capiti a tiro). Basta cosě? No. Perché c’č il tempo anche per l’“imbarazzante” agnizione del medico spagnolo, collega del marito di Clara, e divenuto suo amante, che piomba all’improvviso da Madrid nella casa romana con tanto di valigie e se ne va, sbattuto fuori dalla porta, dopo appena un minuto! C’era davvero il bisogno di una scena simile?
Come si diceva e si scriveva un tempo, a ogni sequenza si sentono sfogliare le pagine della sceneggiatura!
Unica nota rilevante, perché inusuale, č il cameo tagliato su misura (un over size, a dire il vero!) per Francesca Neri. Nel film č Alma Kero, la donna che le tre sorelle invitano a cena per farla conoscere al padre nella speranza che scocchi la scintilla. Avati sottolinea giustamente che ha voluto “testare” la Neri in un’interpretazione lontanissima dai suoi contesti abituali. Il risultato č eccellente.
Alma si presenta alla cena completamente ubriaca, dondolante, non fa che ridere e straparlare del suo angelo caduto dal cielo (l’amatissimo Giulio che l’ha tradita per una veterinaria), provocando stupore e disorientamento tra i commensali. Poi tutto torna nell’ordine (dopo aver “vomitato” una sequela di nonsense, Alma vomita davvero tutto l’alcol ingerito prima e durante la cena), ma l’effetto di straniamento che leggiamo negli occhi degli attori č lo stesso che avverte lo spettatore. Ed č un meccanismo non semplice da mettere in moto al cinema (“Se volete tendere una trappola a un attore o giocargli un brutto scherzo, fategli fare l’ubriaco” ha sottolineato Abatantuono a margine della conferenza stampa).
Resta da menzionare quella parte di mondo che Avati conosce molto bene, quella del cinema, e che descrive in maniere graffiante ed efficace attraverso la parabola esistenziale e professionale del protagonista.
Qui la critica buffa e senza pietŕ a un certo cinema di serie B e a una certo modo di fare televisione (il rapporto con il produttore viscido, il presentatore che perde il parrucchino, il fantomatico reality “Fogne” ambientato nei miasmi di Milano al quale Sandro Lanza vorrebbe partecipare pur di “rientrare” nel giro), si fa plausibile e addirittura anticipatrice di certe tendenze (“Ho scritto il film un anno e mezzo fa – racconta Avati - e inventandomi “Fogne” temevo di aver esagerato con la fantasia. Mi dicono invece che adesso va in onda un reality ambientato in una discarica. Insomma… non si tratta di fogne, ma poco ci manca”).
Infine, da un maestro del cinema non certo alle prime armi come Pupi Avati, autore di pellicole destinate a rimanere (si pensi a Gita scolastica o Regalo di Natale), ci saremmo aspettati l’uso di una metafora meno immediata e semplicistica per simboleggiare il percorso di crescita cui va incontro il protagonista. Costretto a indossare un paio di occhiali scuri a causa dell’intervento chirurgico che lo ha quasi sfigurato, Sandro Lanza non riesce a “vedere” fino in fondo ciň che lo circonda.
Soltanto la presa d’atto del proprio fallimento e il rinnovato affetto delle figlie che sono accorse in suo aiuto lo convinceranno – conclusa la cena – a fare una lunga passeggiata notturna, di quelle che rischiarano le idee. Sandro, imbacuccato nel cappotto, lungo le strade desolate di una Roma innevata, getta gli occhiali (!!!), diventa un adulto responsabile – forse si sente finalmente un padre - e torna a "vedere".


Conferenza stampa di Pupi Avati


30/01/2007

Riccardo Lascialfari