Fondazione Fare Cinema
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Intervista a Vittorio Moroni sul film "Tu Devi Essere il Lupo"


Adolescenti e famiglia: la linea sottile della felicità.


Intervista a Vittorio Moroni sul film
Vittorio Moroni sul set del film
Da dove nasce l’idea di questo film?
Vittorio Moroni: Da tempo mi interrogavo sulla famiglia e sul concetto di maternità/paternità, mi chiedevo se per essere genitori fosse più decisivo l’elemento naturale, il dna, o piuttosto la storia in comune con un figlio, l'accudimento, la presenza quotidiana. In momenti diversi della mia vita ho incontrato due donne che avevano abbandonato il proprio figlio. Purtroppo non mi è stato possibile approfondire queste conoscenze, ma spesso mi sono domandato cosa le avesse spinte a compiere questo gesto e come questa scelta avesse influenzato la loro vita. Certi dettagli delle loro storie mi sono stati preziosi per realizzare "Tu Devi Essere il Lupo".

La relazione fra padre e figlia è fortissima, quasi esclusiva…
Vittorio Moroni: Il legame tra padre e figlia nasce da una ferita profonda per entrambi: l'assenza della madre; è forse per sopravvivere a questo dolore che il loro rapporto è divenuto così forte. Dietro questa forza si nascondono due possibilità, quella di trovare un nuovo equilibrio che renda questa relazione profonda e aperta oppure l'implosione in una gabbia senza finestre. Ognuno ha paura di perdere l'altro anche se si rende conto che l'unico modo di non perderlo è accettare che altre persone, altri affetti possano trovare spazio. Il film racconta un momento cruciale di questa evoluzione.

E’ la prima volta che vediamo la giovane Valentina Merizzi al cinema, come è stato per lei interpretare questo ruolo?
Vittorio Moroni: Valentina Merizzi è stata scelta dopo aver incontrato altre 800 coetanee. Molti aspetti del suo carattere e della sua sensibilità coincidevano con quelli del personaggio. All'inizio è stato difficile, Valentina non voleva fare il film, diceva che non le interessava. Da quando ha accettato ci ha regalato una dedizione assoluta. Valentina non conosceva la sceneggiatura, non volevo che si sentisse costretta a pensare in termini drammaturgici, preferivo che affrontasse il film scena per scena regalando al personaggio emozioni e reazioni portate dalla propria esperienza.

Perché avete scelto il Portogallo per ambientare una parte di "Tu Devi Essere il Lupo"?
Vittorio Moroni: La prima volta che sono stato a Lisbona ho respirato un’atmosfera che non avevo mai incontrato in nessun’ altra delle grandi capitali europee; la città mi sembrava essere al tempo stesso un luogo remoto e un rifugio accogliente. Alcune località – Capo Espichel in particolare, di cui mi sono subito innamorato - trovavo avessero un carattere sublime che si addiceva perfettamente al personaggio tormentato di Valentina. Inoltre il Portogallo rappresentava l’estrema sponda del Vecchio Continente, una sorta di ultima frontiera che ci impedisce di fuggire e ci costringe a fermarci, contemplare e interrogare gli abissi della nostra coscienza. Anche la nostalgia così diffusa e potente nell’animo di ogni Portoghese mi sembrava capace di donare una bellezza malinconica al personaggio di Valentina, pensavo che fosse la dimensione esatta dove può trovare rifugio una marionettista italiana che ha deciso di vagare per tutta Europa prima di incontrare un luogo dove fermarsi.

Da dove nasce la scelta del titolo del film “Tu Devi Essere il Lupo “?
Vittorio Moroni: Il lupo rappresenta tutto ciò di cui abbiamo paura. Ognuno dei tre personaggi principali è chiamato a scegliere se rimanere in un dolore irrisolto (la pianura ai piedi del vulcano) o affrontare gli abissi della propria coscienza, facendo i conti con se stesso e la propria storia (confrontarsi col lupo).

Hai avuto problemi durante la lavorazione? Sei soddisfatto del risultato finale?
Vittorio Moroni: Decidere di girare un film a basso budget in Valtellina e Portogallo è stata una scelta impegnativa.
In Valtellina non ci sono professionalità, noleggiatori, maestranze che appartengano al
settore cinematografico, pertanto la trasferta di una troupe di 40 persone per 7 settimane di ripresa ha comportato dei costi importanti e uno sforzo notevole. D'altra parte io ci tenevo moltissimo a girare il mio primo lungometraggio in Valtellina, dove sono nato. Mi rassicurava l’idea di conoscere molto bene alcuni paesaggi, di esserci cresciuto, di sapere come cambiano in certe ore del giorno a seconda della luce e del tempo… Nei mesi precedenti alle riprese con Andrea Caccia, il mio aiuto regista, abbiamo perlustrato tanti luoghi e fatto una selezione accurata delle location, poi con Saverio Guarna, il direttore della fotografia, e Marco Piccarreda, assistente alla regia, abbiamo costruito uno story-board delle inquadrature cercando di immaginare i movimenti di macchina mediante i quali raccontare le azioni dei personaggi. Il tentativo è stato quello di far partecipare i paesaggi, le montagne, la natura aspra della Valtellina alle vicende e al mondo interiore dei personaggi.
Fare un film è un'esperienza che ti cambia talmente tanto che è impossibile poi dire: "rifarei tutto così". Si comincia a lavorare alla sceneggiatura e 7 anni dopo si è finito di montare il film. Impossibile, credo, essere pienamente soddisfatti: si è già cambiati, già un passo avanti al film. Inoltre credo che fare un film sia un'esperienza punitiva per il regista e forse anche per il montatore. Lo si manipola e riaggiusta, lo si vede tante di quelle volte che alla fine si finisce per essere anestetizzati. Quando ai festival ho visto persone emozionarsi per "Tu Devi Essere il Lupo" mi è sembrato strano.

La tua esperienza di documentarista si è riflessa, in qualche modo, in questo tuo primo film?
Vittorio Moroni: Inevitabilmente. Per quanto questo film non sia un film di stampo propriamente "documentaristico", il set finisce per riproporre delle dinamiche che si verificano anche girando documentari: tu immagini che una cosa debba essere in un certo modo, ma scopri che quella faccia, quel corpo, il colore di un muro si "oppongono" alla tua volontà e decidono di sottolineare un altro aspetto. Allora sei chiamato a negoziare i significati, devi essere pronto ad accettare di abbandonare la tua idea o di modificarla un po', perché quello che la realtà ti sta proponendo è più esatto, più forte, più intrigante. In questo senso la disciplina del documentario credo mi sia stata d'aiuto.

Cosa ne pensi dei supporti digitali? Possono aiutare un giovane regista a realizzare le sue prime opere oppure stanno abbassando la qualità delle opere?
Vittorio Moroni: Non credo che la qualità sia un problema di supporti. Penso però che vi siano dei film che funzionano meglio in pellicola e altri in video. Ma in ogni caso non sarà il digitale a salvare il mondo del cinema. Fare un film è un problema complicato, ma è una volta fatto che cominciano i veri guai.

01/01/2007