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"The Dreamers": considerazioni finali


Bernardo Bertolucci, Louis Garrel e Gilbert Adair commentano il film "The Dreamers".



Una scena del film "The Dreamers"
Con "The Dreamers", Bernardo Bertolucci spera di correggere quello che a suo avviso è un errore della storia. È convinto che oggi gli eventi del ‘68 vengano giudicati facendo riferimento a canoni moderni e attenendosi soltanto ai risultati ottenuti, ed è proprio qui che sta l’errore maggiore. "Alcuni pensano che il ‘68 sia stata una guerra persa", commenta il regista, "il che è completamente sbagliato. Il ‘68 ha portato molti cambiamenti importanti ma il problema vero è la mancanza di memoria, e il fatto che tanta gente non abbia raccontato ai propri figli quello che è successo veramente nel 68. I giovani hanno una specie di buco nero e credo che questo sia dovuto in parte al fatto che i genitori non gliene hanno mai parlato. È come se ci fosse stata un’enorme censura su tutto quello che ha a che fare con il ‘68 e penso che sia assurdo. Infatti, anche se il sogno rivoluzionario è fallito, il ‘68 resta comunque un anno importante perché ha cambiato radicalmente i comportamenti delle persone. Tutto è cambiato. In Italia, la gente veniva multata solo perché si baciava per strada! E i ragazzi di oggi, che danno per scontata la loro cosiddetta libertà, non sanno che gran parte delle loro libertà sono state conquistate nel ‘68. È interessante vedere come i miei attori riusciranno a vivere quegli anni. Tutto ciò che non viene detto resta tra le righe. Porteranno sullo schermo una grande emozione".
Bertolucci ci tiene a dire che non vuole impartire nessuna lezione ai giovani facendo una sorta di operazione nostalgica su un’età dell’oro ormai scomparsa. "In un certo senso", afferma, "The Dreamers serve a ricordare, come farebbe un brano musicale o un improvviso raggio di sole. Ci riporta ad un periodo in cui un’intera generazione si è svegliata una mattina con aspettative incredibili. Forse perché ho visto che i giovani di oggi sono piuttosto malinconici rispetto al futuro, voglio ricordare loro un’epoca nel quale il futuro era visto come un qualcosa di assolutamente positivo". In realtà, Louis Garrel condivide il punto di vista di Bertolucci e spera che i giovani si immedesimino nell’energia di quei giorni. "Sono tanti quelli che stanno tentando di uccidere il mito del ‘68", dice il giovane attore. "Continuano a dire che è un’epoca morta, creata dalla borghesia. E tanta gente non fa che screditarla".
Per Bertolucci si tratta di un retaggio emotivo, fatto di ottimismo e speranze. "C’era un eccesso di romanticismo», osserva il regista, «ma non era una cosa che creava imbarazzo a nessuno di noi o che ci faceva sentire a disagio". Per Gilbert Adair, adattare il suo romanzo per il grande schermo è stato un viaggio inaspettato ma soddisfacente, cominciato tanti anni fa. "Il film finisce bene e male al tempo stesso",
racconta. "Finisce bene perché i protagonisti arrivano alla fine del viaggio avendo imparato molto su loro stessi, ma finisce anche male perché c’è sempre una punta di tristezza quando si arriva alla fine di qualche cosa. Suppongo che è così che mi sento rispetto agli anni 60. Guardavo alcuni filmati con Bernardo, e pensavo ‘Mio Dio, ma eravamo veramente così ingenui, ci vestivamo veramente così male?’ Ma al tempo stesso mi sembra che sia stato il periodo più felice della mia vita".

09/02/2007