Fondazione Fare Cinema
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Note di regia del film "Il Mondo Addosso"


Costanza Quatriglio descrive il suo documentario sull'immigrazione dall’Afghanistan e dai paesi dell’Est Europa.


Note di regia del film
Volevo fare un film sui giovanissimi migranti arrivati soli a Roma dall’Afghanistan e dai paesi dell’est Europa e mi sono ritrovata a raccontare l’invisibilità.
La prima cosa che ho dovuto capire è come rappresentare ciò che non potevo mostrare: quel carico di dolore, di paura, di smarrimento e di necessità di riscatto prima ancora che di affetto, che molti dei giovanissimi incontrati portavano con sé ma soprattutto come restituire il sorprendente percorso dalla non esistenza e quindi dalla privazione di ogni diritto, all’esistenza riconosciuta, quando l’attribuzione di voce, volto, pensiero, volontà, dipende da quanto il paese in cui ti trovi riesce ad accoglierti, da quanto è organizzato, da quante persone riesce a stipendiare.
Frequentando per mesi le strade, le stazioni e le strutture di accoglienza, ho seguito le storie di Mohammad Jan, Josif, Cosmin e Inga, e ancora dei giovani testimoni della guerra, partiti dai loro paesi ancora bambini o appena adolescenti.
Ognuno di loro compie insieme alla macchina da presa un viaggio dentro percorsi concreti di riscatto ma anche di solitudini e scelte, fino a quando la maggiore età non incombe e ancora una volta la legge della selezione è più forte e la macchina da presa non può che restare, laddove ancora un abbandono e un altro viaggio ricomincia, per un altro paese, un altro tentativo di essere a questo mondo.
Le vite dei giovani protagonisti riguardano tutti noi, sono le premesse di ciò che il nostro paese si prepara ad essere, e nello stesso tempo sono lo specchio del superamento dell’idea dell’Italia multietnica così come è stata formulata negli anni scorsi. Questa è una riflessione che mi sono trovata a fare procedendo nel lavoro: come se ad un certo punto noi tutti non potessimo più credere nell’idea stessa di città multietniche e dovessimo renderci conto di quanto sia necessario pensare in termini diversi, aprire gli occhi sui conflitti, restituire in termini di progettualità concreta un altro tipo di idea di paese multietnico, basata sulla condivisione dei destini e non solo sulla appropriazione delle risorse umane e della forza lavoro.
Il progetto migratorio di Mohammad Jan, di Cosmin, di Inga, di Josif, è legato all’equilibrio del mondo intero; i giovani afgani continuano a scappare dai pericoli pre e post guerra di liberazione, a loro si aggiungono le migliaia di persone che arrivano dai paesi che abbiamo imparato a conoscere e si aggiungeranno i piccoli iracheni che hanno cominciato il loro viaggio, che durerà anni e li farà approdare quasi uomini; e la cosa che più mi ha colpito mentre facevo il film era la consapevolezza acquisita della presenza ingombrante e terribilmente necessaria della rete internazionale del traffico di vite umane. Come se insieme ai giovani afgani io riprendessi una intera condizione esistenziale, lo smarrimento e il ritrovarsi, l’impossibilità di appartenere ad un luogo.
Il film fa parte del mio percorso personale, prima ancora che professionale: dopo L’isola, il successo a Cannes, l’ottima uscita in Francia e in altri paesi, ho sentito l’esigenza di affrontare le domande a cui volevo dare risposta e proporre una mia idea di cinema, che è fatta di prossimità, di mettersi in gioco, di ascolto, per toccare il fondo e rinascere, con la consapevolezza di essere in cammino. Il mondo addosso è tutto questo: andare dove di solito non si va per paura, perché è impervio o difficile. E andarci non per cercare lo scandalo ma per vivere e restituire la vita attraverso il racconto, come quando ho imparato a conoscere Josif che ha casa in un treno abbandonato nascosto tra le pieghe della città, che a un pupazzo di peluche affida la sua sorte e mi guarda e mi dice: “tu devi tornare tra vent’anni così vediamo cosa sono diventato”.

Costanza Quatriglio