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Note di regia del film "Hotel Meina"


Note di regia del film
Carlo Lizzani sul set del film "Hotel Meina"
L’ultimo conflitto mondiale continua a proporsi come fonte inesauribile di storie individuali e collettive. Di “umili” e di “potenti”. E, pur avendo personalmente attinto per molti miei film a questa fonte, continuo a trovarvi suggestioni e spunti di valore universale e attuale.
Quello che mi ha affascinato nella storia – tutta vera – dell’Hotel Meina, raccontata nel libro di Nozza, è il modo imprevedibile con il quale il Male e il Bene in questa particolare occasione sono entrati in conflitto. E, prima ancora, si sono presentati in scena, hanno preso forma. In questo albergo che si affaccia sul Lago Maggiore, in una cornice paesaggistica idillica, si trovano a convivere per alcuni giorni, nel Settembre 1943, un gruppo di ebrei benestanti, una formazione di SS, e alcuni villeggianti italiani e tedeschi ignari della tempesta che anche là, in quel luogo tanto lontano dai fronti di guerra, sta per scatenarsi.
La caduta di Mussolini, l’Armistizio (annunciato in quel modo equivoco che tutti ricordiamo) hanno fatto dell’Italia una terra di nessuno, dove può accadere tutto e il contrario di tutto. E nessuno sa prendere decisioni definitive. La sorveglianza dei tedeschi sugli ebrei sembra morbida. Ma da quell’albergo – questo è l’ordine – non si può uscire.
Anche le SS insomma, sembrano in attesa di ordini superiori, e qualche volta si mangia, si fa musica, si gioca a carte tutti insieme.
Forse Buñuel, con L’angelo sterminatore ha già raccontato sotto metafora, e in modo straordinario, una situazione di questo genere. E certamente non oserei scendere a confronto con quel capolavoro del cinema, se non fossi convinto che il mio compito è più modesto, ma che svolgerlo può essere ancora utile. Mi sono di guida un libro e una sceneggiatura che vogliono ricordare vicende realmente accadute, ma non per questo meno dense di significato.
Forse in queste lunghe meravigliose giornate di Settembre apparirà ancora più misterioso (o invece finalmente decifrabile?) quello stato di inerzia paralizzante che ha impedito in tutta Europa, e a tante migliaia e migliaia di ebrei di sottrarsi tempestivamente al pericolo, di uscire dalla soglia di quell’albergo come di tante case, di tanti Ghetti. E viene alla luce, passo passo, quella capacità di inganno, di “messa in scena” che certamente fu una qualità peculiare dei tanti gregari chiamati a metter in opera la Soluzione finale.
Ma, accanto al Male anche il Bene – in quelle strane giornate dell’Hotel Meina – si presenta in modo nuovo e inatteso rispetto alla drammaturgia che solitamente ha raccontato la Shoà. È il personaggio della tedesca Cora a gridare forte la sua condanna nei confronti di Hitler e della sua banda di criminali. E questo in nome dell’altra, della vera Germania. La Germania di Kant, di Goethe, di Schiller, di Mann. Della Berlino illuminista senza Ghetto, di Federico il Grande. La Germania di Bonhöfer, della Rosa Bianca, degli ufficiali impiccati dopo la scoperta della congiura del ’44, e delle migliaia di tedeschi antinazisti sterminati poco prima e poco dopo la presa del potere da parte di Hitler.
Anche questa Germania ha avuto voce in altri film. Ma nel nostro caso il confronto è diretto, e l’unità di spazio e di tempo danno al conflitto quella originalità che mi ha indotto ancora una volta a misurarmi su un terreno più volte frequentato, ma sempre affascinante e denso di interrogativi e di insegnamenti.
"Hotel Meina" è un altro capitolo di quella ideale storia in immagini del fascismo e dell’antifascismo che da decenni vado costruendo con film sia tratti da eventi realmente accaduti, sia da opere letterarie.
Gli anni Venti: "Fontamara" (con Michele Placido), "Cronache di Poveri Amanti" (con Marcello Mastroianni). Gli anni Trenta: "Un’Isola" (il libro di Giorgio Amendola). Gli anni Quaranta (dalla nascita della Resistenza fino alla condanna a morte): "Achtung! Banditi!", "Il Gobbo", "L’Oro di Roma", "Gli Ultimi Giorni di Mussolini" (con Rod Steiger, Henry Fonda). In tutte queste opere mi sono sempre attenuto al rispetto del testo (nel caso dell’opera letteraria). E al massimo rispetto per la memoria delle vittime o dei sopravvissuti, nel caso di film ispirati a fatti realmente accaduti

Carlo Lizzani