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Note di regia del documentario "Marco Ferreri,
il Regista che Venne dal Futuro"


Note di regia del documentario
Ho incontrato per la prima volta Marco Ferreri in una moviola della Safa Palatino, all’epoca della Gaumont. Stavo preparando il trailer di un film che lui aveva aiutato a nascere,
"Amore Tossico" di Claudio Calligari, e quando è entrato, discutendo con i protagonisti del film, ha guardato velocemente le immagini montate: poi bofonchiando si è rivolto a me e ha detto: "voi nun avete capito un cazzo del film". Si è girato, e se ne è andato.
L’ho rivisto qualche anno dopo a Parigi sul set di "I Love You", e non avevo quasi il coraggio di rivolgergli la parola, ma fin da subito scoprii di essere davanti non solo a un grande regista ma soprattutto a un uomo che nascondeva dietro al suo fare burbero una sensibilità straordinaria. In realtà, verso il mondo del cinema in cui ero entrato dalla porta di servizio, e quasi per caso, avevo avuto fino a quel momento un atteggiamento persino di sufficenza: mi sentivo più "moderno", smaliziato, e pur frequentando da anni i set, anche i più prestigiosi, non mi sentivo coinvolto più di tanto.
Quel set, invece, in una vecchia fabbrica alla periferia di Parigi, quell’uomo barbuto con un berretto da gnomo che urlava ordini e che camminava mangiando arance o mandarini, mi hanno stregato. Un colpo di fulmine: mi piaceva tutto, soprattutto sentirlo parlare. Credo che nel corso degli anni non ho mai provato allo stesso tempo un piacere grandissimo e il timore di sentirmi inadeguato come sui set di Marco Ferreri.
Non era facile intervistarlo, spesso rispondeva a monosillabi, a volte parlava d’altro. Chi fa interviste televisive, il più delle volte è legato all’attualità: deve portare a casa qualche cosa, deve «estorcere» all’intervistato quei due minuti di storia, di spiegazione per confezionare il servizio. Con Marco era diverso, lui non amava raccontare la storia, forse non amava nemmeno più i giornalisti che da lui pretendevano giudizi o aforismi sull’universo mondo, accontentandosi poi di qualche battuta tagliente. Io l’ho intervistato una decina di volte sui set o ai festival: in qualche caso ho sofferto molto, in altri sono andato a girare i suoi set anche quando non lavoravo più per un programma televisivo e anche se dovevo pagarmi la troupe lo facevo con grandissimo piacere. Mi ricordo che quando girava "La Casa del Sorriso" a Cattolica mi chiamò per chiedermi di andare, e davanti alle mie rimostranze (non mi occupavo di cinema in quel periodo) mi disse di non rompere e di raggiungerlo. A Cattolica, su quel meraviglioso set ambientato nelle vecchie colonie marine, lui non voleva parlare del film: aveva incaricato un pubblicitario di farlo al posto suo, perché era convinto che da lui i giornalisti volessero solo sentire la storia, e parlare di Ferreri senza preoccuparsi del film. Fu un’intervista surreale: quasi un’ora di parole a mezza bocca, con lui che sbadigliava annoiato e io che provavo in tutti i modi a fargli dire qualcosa. Fu una grande lezione di vita, per cui gli sarò sempre grato, ma me ne resi conto solo dopo molto tempo, e tornai a Roma distrutto dalla frustrazione.
Da moltissimi anni volevo fare un documentario su Marco, e tre o quattro volte ho persino cominciato a montarlo: in due casi gli ho dato anche un titolo, in altri ho assemblato dei materiali su di lui per festival o trasmissioni televisive. Il primo doveva essere il pilota d’una serie che aveva un titolo presuntuoso, "I Tic dei Registi", e da qualche parte c’è ancora. Ogni tanto ho partecipato a dei festival sul backstage e come esempio del mio lavoro ho mostrato del girato sui set di Ferreri: in nessun’altro mi è capitato di sentirmi così vicino a quello che per me è il cinema.
L’ho incontrato l’ultima volta per caso nel 1996, a Parigi, a Saint Germain. Io stavo girando qualcosa per la Rai, lui tornava da una visita a Marcello Mastroianni, ammalato. Tutti e due di fretta: mi ha dato il suo numero di telefono. Poi mi sono perso dietro altre cose, e non me lo perdonerò mai.
Per quanto riguarda "Marco Ferreri, il Regista che Venne dal Futuro", debbo ringraziare prima di tutti Jacqueline Ferreri che di Marco è stata non soltanto la moglie e la compagna ma anche complice produttrice delle sue avventure cinematografiche, e poi attenta conservatrice della sua eredità morale. Annarosa Morri, che mi ha aiutato e ha collaborato con me. Nicoletta Ercole, prima collaboratrice e amica, e poi custode affettuosa della memoria di Marco. Luca Ronchi e i suoi preziosi consigli e suggerimenti. Elena Francot e Massimo Vigliar della Surf e Alfredo Moroni de LA7, che hanno creduto in questo progetto e senza i quali questo documentario non si sarebbe realizzato.
E poi tutti coloro che hanno partecipato, e tutti quelli che hanno amato Ferreri e il suo cinema.

Mario Canale