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Note di regia del documentario "Strade Trasparenti"


Note di regia del documentario
"Strade Trasparenti" non è un viaggio sul Brasile. È un viaggio nel Brasile, all’interno delle sue viscere.
Si parla del Brasile, ma solo in parte. Ci si specchia in questi territori per parlare d’ altro, di visioni e discorsi che possono reputarsi validi universalmente per qualsiasi paese e popolo.
"Strade Trasparenti" è un cinevoyage, un rito d’iniziazione al viaggio, allo scoperta dell’ ignoto, dell’ indecifrabile e irriducibile, uno spingersi oltre le logiche dei propri confini nazionali, culturali, percettivi.
Un film in cui s’ intraprende un percorso personale, intimo, una rieducazione dei sensi, assecondando soltanto la direzione del proprio sguardo, dell’ orizzonte, il cromatismo del territorio, le forme in costante divenire della natura, della propria identità che si rovescia e ricalca i rilievi, le pieghe, dell’ ambiente circostante. D’altronde immagini, suoni, ci comunicano chi siamo prima dei pensieri, delle parole e della nostra stessa identità.
Viaggiando per ricordare, raccontare, per documentare ciò che continuamente si dimentica: restituire reale alla realtà, rendere vero ciò che viene escluso e presentato come inesistente, impossibile, irrealizzabile. Per scoprire se stessi, riappropriandosi della propria storia, dei luoghi in cui si è vissuto, si sta vivendo e ci si accinge a vivere. Cercando di ritrovare, attraverso l’ osservazione dei fiumi, le "Strade Trasparenti", nell’ alternarsi vario dei paesaggi, il senso, il continuo ramificarsi, del destino e l’identikit dell’essere umano.
Uno dei principali obbiettivi di "Strade Trasparenti" è rappresentare proprio la precarietà dell’effimero destino umano.
Constatare l’ incompiutezza, la casualità, l’ illogicità, della storia individuale e ineluttabilmente di quella collettiva, che ne è diretta emanazione e viceversa.
Vita umana che viene raffigurata, si riflette, in un viaggio basato sull’assenza di autentiche destinazioni, metafora del tempo individuale che avanza senza concludersi, si ferma senza arrivare.
Dal punto di vista estetico il Brasile mi consente di realizzare la mia idea di “land film”, ossia applicare al cinema i concetti della “land art”: scrutare il territorio per spingersi ad una comprensione più profonda dell'essere umano. Questo perché sono persuaso che la terra è la materia, mater, che tramite la fecondità delle sue stratificazioni geologiche, geografiche, storiche, riassume, interiorizza e genera l’ impasto del mondo con l’uomo. Il mondo forgia l’ interiorità dell’ uomo, l’ uomo condiziona l’ apparenza del mondo, lo sostituisce con un’ unica scenografia.
Il film si plasma dunque sul profilo del territorio, per tracciare personalità e caratteristiche dell’ individuo che la abita e la modifica col suo cammino e le sue consuetudini. Ce ne racconta, proietta, trasmette, attraverso i fotogrammi dei finestrini, gli schermi dei parabrezza, la storia, i volti, i luoghi.
Le immagini della natura vengono usate per creare una sorta d’identikit psicologico, poetico, del passeggero, per disegnare, concretizzare, interrogare, i concetti che esprime, le vicende che ci narra.
La scelta nasce anche dal fatto che il Brasile è un paese di tutti.
Si diventa brasiliani non ci si nasce, così come si nasce esseri umani e si diventa uomini.
Il Brasile è la storia e concentrazione di tanti continenti differenti, Europa, Asia, Africa, America, in un unico territorio. Sebbene in questo posto, rispetto ai nuovi paesi sviluppati, esista ancora un forte contrasto/legame tra la realtà delle metropoli, simbolo di attualità e presente, e lo spazio reale, molte volte primordiale, incontaminato, della natura.
Di conseguenza è ancora forte il rapporto tra individuo e natura, tra modernità ed arcaismo. Modernità che spesso si origina da forze arcaiche, progresso concepito quasi sempre da un sistema retrogrado.
Peraltro, essendo il Brasile una società giovane, quasi adolescente, ci mostra più facilmente i limiti del progresso occidentale, da noi dissimulati dall’opulenza tossica del benessere e dello sviluppo tecnologico: osservare i fondamenti rudimentali ereditati dalle nostre, apparentemente avanzate, economie, le difficoltà, strutturali ed ideologiche, della democrazia di diminuire il divario delle ingiustizie sociali e razziali provocate dal passato coloniale.
Il Brasile ci racconta, ci mostra, ciò che il Vecchio Continente ha perduto : la natura, la fede, la solidarietà della miseria, il senso della misura dettata dalla consapevolezza dolorosa di una realtà palesemente discriminatoria. Una voglia di contatto umano, di allegria, che non è solo uno stratagemma per dimenticare la sofferenza, ma desiderio di celebrare l’ unicità, la mortalità di ogni singola esistenza, che non realizza la sua spiritualità nella redenzione, nella speranza della vita eterna, ma in quell’ attimo di simbiosi, di fulgida empatia, tra essere e natura, io e mond0.