Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Enrico Pitzianti: "Sono interessato ad osservare
la realtà, per estrapolarne quello che credo
sia giusto raccontare in quel momento"


Intervenuto mercoledì 5 novembre 2008 presso il cinema “Arsenale” di Pisa, in un incontro organizzato in collaborazione tra l’Associazione “Grazia Deledda” e il “Cineclub Arsenale”, abbiamo intervistato Enrico Pitzianti, regista dell’opera prima “Tutto Torna” e già vincitore di numerosi premi grazie ai precedenti lavori nel campo del documentario.


Enrico Pitzianti:
Nella sua carriera si è trovato a viaggiare molto per il mondo. L’avrebbe mai detto che proprio dalla sua Cagliari sarebbe ripartita questa importante avventura o l’aveva sperato?
Enrico Pitzianti: Il film non è nato a Cagliari però con Gianluca Arcopinto si è convenuto che era giusto ambientare la storia in Italia soprattutto in una città, Cagliari, che non solo è la mia città e che quindi ben conosco, ma è una città cinematograficamente poco raccontata. Un film che si presta a qualsiasi ambientazione metropolitana ,cittadina, che poteva essere Barcellona, Marsiglia, Genova o Napoli, ma che con onore è stata proprio Cagliari. La cosa un po’ mi preoccupava anche, perché mi sono detto “ se toppo questo film proprio nella mia città mi stendono!”. Invece è andata bene.

Lei ha ammesso di non riscontrare una vera differenza tra l’approccio verso il documentario e quello verso il film di finzione, ma ha parlato di un unico bagaglio di conoscenze che utilizza nell’uno o nell’altro campo. Un esempio è stata la scelta di utilizzare dei non attori in un film di finzione. Ce ne vuole parlare?
Enrico Pitzianti: Non avevamo dei mezzi economici tali da permetterci degli attori di fama, quindi ho fatto un casting personalmente e ho scelto di prendere i protagonisti, quasi tutti professionisti, per le scene complicate o dialoghi più lunghi, per gli altri personaggi mi sono rifatto a quello che era il personaggio nella sceneggiatura. In base a quello sono andato a scovare nella realtà delle persone che ne avessero caratteristiche simili. Il barbiere e la signora del quartiere erano proprio loro, l’usuraio aveva le caratteristiche fisiche giuste, il politico mi è stato consigliato ed è bastato un provino di dieci secondi, insomma dovevano avere il physique du role del personaggio, perché non volevo trasformarli io, dovevano essere già loro stessi.

Negli ultimi anni molti registi sardi sono passati dietro la macchina da presa per raccontare delle storie ambientate nella propria terra e si sente spesso parlare di “Nouvelle Vague Sarda”. Lei che ne fa parte, vorrebbe provare a rintracciare gli elementi che hanno portato alla nascita di questa nuova ondata, o secondo lei si tratta solo di un caso?
Enrico Pitzianti: Probabilmente è un caso perché i curriculum vitae dei diversi autori sono totalmente differenti. Ci siamo casualmente incontrati in un determinato periodo storico a fare lo stesso lavoro e d è un caso anche perché ognuno ha stili completamente diversi l’uno dall’altro. Non si può parlare di una scuola del cinema sardo ma si può parlare di un caso non legato da un minimo comune denominatore, tranne quello del viaggio. I registi sono emigranti che sono andati via per fare esperienza fuori e forse questo è l’unico legame. Un altro è il fatto che molti di noi utilizzino dei non attori. Forse è un fenomeno fisiologico perché quel processo di narrazione della Sardegna che era stata raccontata a cinema in maniera straordinaria da altri autori, a distanza di anni ha dato i suoi frutti. Il terreno era stato arato.

Al fianco di Massimo e suo zio, altra grande protagonista di “Tutto Torna” è l’anziana signora. Quanto le è costato non mostrarne mai il volto e tenerne segreta l’identità allo spettatore?
Enrico Pitzianti: Il film ruota attorno a questa vecchia che è un personaggio tipico delle grandi città. Ognuno di noi si chiede che vita possa avere. Si fantastica su questi personaggi e nei piccoli quartieri se ne dicono di tutti i colori. Tutti parlano di quella persona, ma non viene vista in faccia e forse è così perché si tratta di un personaggio simbolico, quasi biblico. E’ come se lei in questo sacco raccogliesse i peccati di noi comuni mortali ed infatti è l’unico personaggio ad uscire vincitore nel film. Ho discusso a lungo con la sceneggiatrice perché ero più propenso per farla veder un attimo alla fine, così che potesse guardare in faccia il giovane protagonista, ma alla fine è passata la mozione della collega, me ne sono convinto e sono contento di questa scelta, tanto che avevo scelto di girare il primo piano per provare comunque a montarlo, ma poi ho scelto di non girarlo proprio.

Per documentari quali “Piccola Pesca” o “Un anno sotto terra”, si è trovato a raccontare storie ambientate in zone da lei ben conosciute. Ma “Sanpeet”, realizzato con Giuseppe Petitto e Gianluca Pulcini è ambientato in Thailandia, una terra molto più distante e forse meno conosciuta. Come accade allora che venga fatta una scelta simile, avevate letto tra dei soggetti questa storia o vi è stata raccontata da qualcuno?
Enrico Pitzianti: Questa storia ci era stata raccontata e ci piaceva molto. Io conoscevo già molto bene la Thailandia, anche se non particolarmente quella zona. Avevamo scritto un soggetto di base, quella che poteva essere un’ipotetica storia. Arrivati lì abbiamo subito trovato il protagonista e la nostra storia si è modificata nel tempo. C’era una parte già abbastanza chiara e il resto si è evoluto cammin facendo, come spesso capita nei documentari. Poi per quanto riguarda il mio cinema, più che leggere sono interessato ad osservare la realtà, per estrapolarne quello che credo sia giusto raccontare in quel momento. Come diceva Ugo Pirro, certi sceneggiatori in Italia non ci sono più perché non prendono più il tram, e a me piace ancora prendere il tram!

17/11/2008, 09:00

Antonio Capellupo