Appartato nella vita come nelle manifestazioni artistiche, nonostante la presenza incessante, come autore ed attore, negli spettacoli più rappresentativi dell’Italia del secondo dopoguerra, Luciano Salce è stato quasi sempre un passo più in qua (o più in là) rispetto ai suoi tempi. Emigrato in Brasile a mettere in scena commedie di Anouilh e Campanile, mentre in Italia vigeva il neorealismo; ha proposto, con il gruppo dei Gobbi, un moderno modo di fare cabaret nei tempi in cui imperavano il teatro di varietà, di rivista e d’avanspettacolo; s’è rivolto alla televisione quando questo mezzo di comunicazione era ancora visto dagli intellettuali come un modo d’espressione subalterno; conversatore pettegolo ed impagabile, s’è divertito a giocare con la radio, quando cinema e televisione avevano già sommerso le sue funzioni amplificatrici. Anche nel cinema, dove pure può essere considerato uno dei maestri della commedia all’italiana, ha avuto difficoltà a fare accettare il suo spirito anarchico, acuminato e staffilante, la volontà di satireggiare su tutto: spesso tacciato di qualunquismo, sovente incompreso, mai apprezzato per l’eleganza e la modernità del suo linguaggio espressivo. Oltre quarant’anni passati sui palcoscenici teatrali, dentro schermi cinematografici e televisivi, dietro il gracchiare dei canali radiofonici, senza mai dimenticare la passione per la scrittura, drammaturgica e narrativa, non con l’esuberanza del mattatore, ma con la ritrosia timida e pungente di un uomo che ha saputo fare del suo profilo sghembo una maschera artistica caustica e ben riconoscibile.
L’uomo dalla bocca storta è il punto di partenza nell’operazione di recupero di una personalità troppo a lungo dimenticata. Non un atto di revisionismo, ma il tentativo di valutazione globale di un artista che sapeva ridere del mondo ed ha insegnato, prima di tutto, a ridere di se stessi. Un uomo di spettacolo tra i più importanti del Novecento italiano. Era uno spirito libero ed irriducibile, un intellettuale colto e spiritoso, un umorista leggero e pungente. Aveva autoironia a profusione, accanto a cultura, capacità di osservazione, senso del linguaggio. Ridere su tutto, ridere di tutti: tutto questo gli ha costato un ostracismo critico che oggi, a vent’anni dalla sua scomparsa, non è più sopportabile.
Emanuele Salce e
Andrea Pergolari