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Sergio Fabio Ferrari: "La scelta ed il giudizio sono quanto
volevo raccontare nel mio film L’Ultimo Giorno d’Inverno"


"L’Ultimo Giorno d’Inverno", l'opera prima del regista milanese Sergio Fabio Ferrari, raccontata dalle parole del giovane autore.


Sergio Fabio Ferrari:
Come nasce l'idea per la realizzazione del suo film "L'Ultimo Giorno d'Inverno"?
Sergio Fabio Ferrari: Appena mi è stato chiaro che il raccontare storie attraverso immagini in movimento era per me inevitabile, dopo aver iniziato come pittore con immagini statiche con le quali cercavo di raccontare il più possibile, ho iniziato a scrivere sceneggiature. Un film mi permette di usare diversi mezzi espressivi dalla scrittura alla scelte delle location, ai costumi, dal montaggio, e in qualche misura, perfino alla musica. "L’Ultimo Giorno d’Inverno" ha cercato di nascere diverse volte, qualche anno fa. Ho iniziato a scrivere una storia che mi permettesse di affrontare alcune tematiche che mi premeva toccare ma arrivato ad un certo punto sentivo che era una sceneggiatura debole, che non mi convinceva; così ho messo da parte la prima stesura e ne ho iniziata una nuova, con diversi personaggi e storie. Non riusciva a convincermi del tutto nemmeno la seconda versione, così ho ripetuto questo passaggio per tre volte fino a quando, prossimo al cestinare del tutto l’idea, ho iniziato a fare un “cut-up”, cominciando un vero e proprio “montaggio alternato” su carta, usando tutti i personaggi delle tre stesure precedenti e mischiando spazio e tempo. E’ nato così "L’Ultimo Giorno d’Inverno", da tre film messi insieme.

Il suo film è pieno d'amore, ma principalmente è un film su rapporti interpersonali, sul conoscersi, sul confrontarsi...
Sergio Fabio Ferrari: E' tramite i rapporti interpersonali che si arriva a quello che mi preme comunicare con questo film, dopo che ci si è conosciuti, dopo che si sceglie se confrontarsi o fuggire. La scelta ed il giudizio sono quanto volevo raccontare, ho usato storie "estreme" proprio perché sono quelle che più delle altre si espongono al giudizio della gente e quando un questo salta troppo facilmente alla bocca spesso è sbagliato. Credo profondamente che sia preferibile astenersi dal giudicare le scelte altrui, poiché solo chi vive in prima persona certe situazioni ne conosce tutti gli aspetti, dolorosi o meno. Tutti i miei personaggi ad un certo punto devono affrontare una scelta: o la fanno in prima persona o la subiscono o fuggono da essa. Nel momento della "scelta" ho cercato di isolarli, li ho lasciati da soli nell'inquadratura, proprio perché, almeno per la mia personale esperienza, anche se si è circondati dall'affetto di persone care, siamo soli a fare le scelte importanti nella vita.

"L'Ultimo Giorno d'Inverno" è la sua opera prima. Cosa si aspetta da questo esordio?
Sergio Fabio Ferrari: Mi aspetto che qualcuno si accorga di una realtà che a Milano è molto viva: il cinema indipendente. Non mi riferisco a quell' "indipendente" fatto da produzioni e sovvenzioni che sono minori solo se paragonate a quelle "tradizionali". Per Cinema Indipendente intendo quei film girati da autori ed attori, che fanno i salti mortali per mettere in piedi la loro opera, spesso di buona qualità filmica, facendo sacrifici che poi vengono spesso vanificati perché è comunque più facile girare un film da soli che riuscire, da soli, a farlo distribuire, conoscere. Per fortuna esistono i festival ed ai festival si può incontrare persone che possono trovare il tuo lavoro interessante e magari vogliono testare il talento dandoti un'opportunità.

Uno dei protagonisti del film, che fa lo scrittore dice "quando scrivi tu sai che qualcuno dovrà leggerti. Alla fine è sempre un po' come esporsi. Come stare nudo davanti a qualcuno". Anche lei si è sentito così nel realizzare il film?
Sergio Fabio Ferrari: No, il titolo del film può rispondere a questa domanda, l''ultimo giorno d'inverno è il 20 marzo, giorno in cui sono nato. Come a dire che c'è un po' di me in tutti i personaggi. Questo però non significa che ci sia qualcosa di autobiografico anzi, ma arrivato a 35 anni se mi guardo indietro scopro che oggi affronto le situazioni in maniera diversa che in passato. Spesso ho voltato lo sguardo quando avrei dovuto affrontare certe situazioni, in altre occasioni ho preso il coraggio a due mani e ho fatto le mie scelte, pagandone il prezzo. Solo in questo c'è qualcosa di me nel personaggio dello scrittore e di tutti gli altri, tutto il resto è pura invenzione. Ad esempio nel film ci sono figli con rapporti conflittuali con le madri ma io ho un rapporto con mia madre che molti mi invidiano, nonostante non sia stato un bambino ed un ragazzo facile da crescere ha fatto un "lavoro" meraviglioso e mi ha sempre sostenuto, così come ha fatto mio padre. Non mi sono esposto o messo a nudo in questo film, ho guardato ad alcune situazioni e lo rivestite con nuove forme e colori.

Ci può parlare della scelta degli attori del film, tutti non protagonisti?
Sergio Fabio Ferrari: In questo film non volevo che una storia o un personaggio prevalessero sugli altri, ho cercato il più possibile l'equilibrio per mostrare come certe situazioni siano analoghe ad altre e come tutto sia strettamente legato. Questo ha significato "dosare i tempi" di ogni attore del film ottenendo come risultato che tutti sono non protagonisti o tutti protagonisti in egual misura. Dare più spazio ad un personaggio o ad una storia avrebbe significato dare un'importanza maggiore rispetto alle altre.

Crede che con le tecnologie moderne si possono realizzare opere di buona qualità come la sua a basso budget?
Sergio Fabio Ferrari: Oggi le tecnologie sono alla portata di tutti e permettono di avvicinarsi alla qualità filmica delle grandi produzioni. Nessun programma di montaggio, nessuna telecamera ultimo modello possono, però, intervenire ad aiutare il cineasta nell'idea che è il fondamento della storia. Ho visto film e video realizzati con una qualità di ripresa pessima ma con grandi storie che e viceversa si vedono cortometraggi e film girati con soldi, telecamere di ultima generazione ed un audio impeccabile che annoiano mortalmente. L'ideale è quando una buona idea è portata avanti con la più alta qualità possibile. Nasco come pittore all'Accademia di Brera e, quindi, ritengo fondamentale usare l'inquadratura come una tela, un'area dove gestire completamente i colori, gli spazi vuoti e pieni, le linee e i contrasti, cercando di raccontare la storia con la migliore immagine possibile.

Ci può parlare un po' di lei e del suo rapporto con il cinema? Come si è avvicinato a questa arte?
Sergio Fabio Ferrari: E' una vera e propria storia d'amore nata quando sono entrato in Accademia per seguire le orme di mio nonno pittore. Al secondo anno ho scoperto la cattedra di Cinematografia Mass Media del Professor Ballo. Ricordo le ore passate nell'aula magna a vedere e rivedere intere sequenze dei film di Buster Keaton, di Alfred Hitchcock e di molti altri maestri del cinema e scoprire ogni volta qualcosa di nuovo. Improvvisamente quello che mi era sempre sembrato essere solo un insieme di immagini in movimento rivelava molto di più. E' stato amore a prima vista, ma sono stato anche fortunato perché da bambino passavo interi pomeriggi a vedere con mia nonna, i vecchi film che lei amava ed inconsciamente ho iniziato a conoscere registi come Frank Capra o Vittorio De Sica, quelli che avrei poi studiato in Accademia.

Come considera l'attuale panorama cinematografico italiano?
Sergio Fabio Ferrari: Sono sincero, lo trovo soffocante, allarmante. Sul grande schermo si fanno sempre più rare le frequentazioni di autori come Ermanno Olmi o Marco Bellocchio, due registi che ammiro moltissimo, quando invece arrivano puntuali uscite di film che non dicono nulla di nuovo rispetto a quelli precedenti degli stessi autori. Sembra che una volta trovata la formula giusta che intrattiene il pubblico non si voglia andare oltre; quindi ci si limita a cambiare la città dove si ambienta la storia, si cambiano un po' i personaggi ed ecco il gioco è fatto. Il peggio avviene quando si spendono quantità industriali di denaro per fare film epici che hanno di buono solo la tecnica, magari con effetti speciali, ma che non hanno una solida storia sotto, non hanno davvero qualcosa da dire. La conferma della fallace impresa viene quando si cerca di esportare all'estero questi "kolossal". E' importante aiutare i giovani autori a produrre i loro lavori. Non capisco come mai non ci sia un produttore che voglia pescare a piene mani tra i nuovi talenti. Sto provando da dieci anni a farmi notare da qualcuno ma è un impresa disperata in Italia, ex compagni di Accademia mi ripetono che all'estero, dove sono loro, se sei bravo lavori, se non lo sei no. Forse non mi rimane che seguirli. Magari non lavorerò nemmeno là ma almeno saprò la ragione...

18/02/2010, 09:21

Simone Pinchiorri