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Note di regia del documentario "Guerra o Pace. Una Giovine Italia"


Note di regia del documentario
In provincia di Bergamo il processo migratorio è ormai un dato consolidato, anche se non ancora completamente metabolizzato. La presenza di minori stranieri sta cambiando la fisionomia delle comunità immigrate e propone agli amministratori, agli operatori, ai volontari, ai singoli cittadini, nuove istanze di relazione sociale, ancora da analizzare e comprendere.
La produzione. La strada che ho deciso di percorrere per produrre Guerra o pace (cui è stato in seguito aggiunto il sottotitolo Una giovine Italia, per sottolineare che si parla, a tutti gli effetti, di italiani, di relazioni fra giovani italiani di provenienze geografiche e culturali differenti), mi ha portato in un primo momento a incontrare diversi operatori sociali – mediatori culturali, assistenti sociali, ostetriche, insegnanti... – che quotidianamente si confrontano con le problematiche connesse con il fenomeno migratorio. Ho ascoltato commenti e letto dati, ho accettato e archiviato ogni riflessione. La produzione era iniziata da poco e già erano evidenti le molteplici possibilità di azione, molte delle quali impreviste e imprevedibili.
Con l’aiuto e la mediazione di alcuni operatori ho incontrato persone con un vissuto che mi è sembrato particolarmente interessante ai fini della ricerca.
Il film è composto dalla diversa articolazione filmata di tre incontri, che mi sono sembrati particolarmente significativi e l’intreccio si sviluppa attraverso modalità differenziate per quanto riguarda la costruzione cinematografica.
Al Centro di Formazione Professionale di Trescore la videocamera è molto presente, si fa accettare in modo indiscreto, cerca un ingaggio con gli attori, i ragazzi di una classe terza: più che una camera-stilo, è una camera-marteau. All’interno del Centro di Formazione Professionale di Trescore, i ragazzi si ritrovano per l’appartenenza etnica e per il luogo di origine, ma ci sono forti legami di amicizia che nascono e si mantengono saldi anche fra ragazzi di provenienze diverse. Se tensione si crea, è importante considerare che gli studenti sono in età adolescenziale, che gli adulti spesso soffiano sul fuoco del razzismo, che le fasce sociali implicate nel percorso didattico-educativo si trovano a fronteggiare continuamente emergenze economiche anche gravi, con la percezione di non avere supporto e aiuto dalla comunità.
A Romano di Lombardia Fettah racconta la sua esperienza attraverso brevi interviste: ha lasciato la famiglia in Marocco all’età di undici anni per venire, solo, clandestino in Italia. Parlano attraverso interviste anche gli operatori della comunità Il decollo, dove il ragazzo è stato accolto all’età di quattordici anni. Oggi Fettah ha diciannove anni, ha un lavoro e vive da solo.
La presenza autorevole di Makhtar Dieng, senegalese che il sabato e la domenica è maestro di Corano, ha imposto una particolare attenzione durante le riprese. Lo sguardo in questo caso è molto discreto, quasi oggettivo, anche per necessità...
All’inizio e alla fine del film ci sono due brevi storie, due porte: una d’ingresso e una di uscita.
Forse il film appare eccessivamente ottimista per quanto riguarda i temi dell’immigrazione e dell’integrazione. In realtà ho solo cercato di raccontare alcuni frammenti di quotidianità: non è la guerra, che vorrebbero i media e non è la pace, cercata, come è noto, dalla gente perbene per fare quel che vuole.

Alberto Valtellina