Fondazione Fare Cinema
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Note di regia del film "Tajabone"


Note di regia del film
All’inizio doveva essere un corso di educazione all’ immagine, poi il piacere del gioco del cinema ha prevalso su tutto. È al piacere di questo gioco che si deve questo film. Un gioco che, nel caso di Tajabone, ho potuto condividere con i miei allievi.
Da quando ho cominciato, alterno l’attività di regista a quella d’insegnante di educazione all’immagine. In questa scelta non vi è alcun vezzo. Sempli-cemente è dettata dalla necessità di sopravvivere.
Nello scorso autunno ho iniziato per la prima volta a insegnare in due scuole della periferia di Cagliari nei quartieri popolari di San Michele e di Sant’Elia. A spingermi fin lì, dato che Cagliari non è la mia città, è stato il cinema.
Avevo da poco ultimato una sceneggiatura tratta dal racconto di Sergio Atzeni Bellas mariposas e cominciavo a pormi il problema di come e dove am-bientarla. Sapevo, per diretta testimonianza di quanti lo hanno conosciuto, che Atzeni aveva scritto il suo racconto pensando proprio a San Michele, quartiere dove aveva vissuto negli anni della sua giovinezza, e frequentando poi Cagliari in quest’ultimo anno e mezzo ho imparato che parte di quella umanità che anima il suo racconto si è trasferita negli anni al quartiere di Sant’Elia, perché lì il comune ha cominciato a dare le case e lì adesso vive, stipata, dentro quegli enormi alveari di cemento armato che sono sorti intorno allo stadio subito dopo gli anni settanta.
Ecco quindi perché San Michele e Sant’Elia. Ecco perché la Alagon di via Meilogu e la Don Milani di via Schiavazzi.
Il primo periodo mi sono presentato a scuola pensando sopratutto di svolgere al meglio le lezioni. Avevo un modello sopra tutti: Albino Bernardini di Un anno a Pietralata e la bellissima riduzione per la televisione che Vittorio De Seta ha fatto di quell’ opera col suo Diario di un maestro anche se in cuor mio ero lì per cercare i ragazzi di Bellas Mariposas. Ho sperato a lungo di trovare tra i banchi la possibile Cate, una possibile Luna, Tonio, Fisino, o Samantha Corduleris, insomma tutta la parte giovane di quel racconto. Poi, piano piano, ogni giorno sempre di più, mi sono dimenticato di loro e ho cominciato ad appassionarmi ad Angelica a Sara a Jessica ad Abdullah a Munira a Brendon a Tamara a Noemi, a Oscar, i miei allievi (nel film prendono quasi sempre altri nomi), la cui attitudine e il cui vissuto non è certo meno interessante di quello dei loro cugini letterari. Come sempre, la finzione, anche quando è alta come nel caso di Atzeni, ha le armi spuntate davanti alla vita vera.
Il cammino non è stato facile, anche perché c’ era da vincere la naturale diffidenza dei ragazzi verso tutto ciò che viene loro presentato fuori dal percorso di studi abituale. E c’è da comprenderli. Soprattutto non è stato fa-cile convincerli a far correre dentro i loro racconti qualcosa del proprio vissuto quando è arrivata l’ora di imparare a dare forma a un racconto, dopo la tediosa per loro fase iniziale della grammatica, perché dietro all’apparente agio e al candore di quell’età qualcuno cela già dentro di sé qualche ferita difficile da rimarginare.
Quando però questo processo si è innescato, e la sfida è stata raccolta, a me non è restato che fare opera di maieutica per cercare di facilitare al meglio questo passaggio. E se in origine vi erano tanti piccoli racconti, ognuno per ogni allievo del corso, (sarebbe forse più esatto parlare di bozzoli e non tutti destinati a diventare seta) di mio c’è stata l’incapacità di sceglierli, dato che per ragioni d’ufficio se ne potevano realizzare soltanto uno, e la volontà di adottarli tutti (ragazzi e racconti) e la voglia matta di farne un film, contro ogni evidenza, contro ogni limite di budget.
Cosi è nato questo film. Le ragioni didattiche hanno dato l’avvio, il piacere di raccontare i ragazzi e di giocare con loro al cinema hanno fatto tutto il resto. Ogni altra spiegazione sarebbe iniqua, posticcia, mendace.