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"Dalla Vita in Poi": una storia tra detenzione e malattia


Gianfrancesco Lazotti "mescola" dramma e commedia nel suo film "Dalla Vita in Poi" senza riuscire mai a mantenere il giusto equilibrio tra i due generi.


"Talvolta il poeta cede al suo stesso incanto" – scriveva a fine ottocento Edmond Rostand nel suo “Cyrano de Bergerac”, citato in apertura del film - a volte la stessa cosa può capitare anche ad un regista, si potrebbe aggiungere oggi. Con un po' di ritardo sulla tabella di marcia (la pellicola sarebbe dovuta uscire a maggio scorso), ma già trionfatore in un paio di festival, miglior film al Taormina Film Fest e premio della giuria al Montrèal World Film Festival, “Dalla Vita in Poi” uscirà nelle sale italiane il 19 novembre 2010 in una settantina di copie.

Il regista, Gianfrancesco Lazotti mette in scena una storia ispirata ad una vicenda realmente accaduta: nonostante la distrofia muscolare la costringa alla carrozzina, nella vita di tutti i giorni Katia è una ragazza forte e vivace, e da un po' di tempo aiuta la sua amica Rosalba a mantenere vivi i rapporti con il fidanzato finito in galera per omicidio, scrivendo delle lettere cariche di intensità. Ma la penna, si sa, ferisce più della spada, e in men che non si dica l'apparente curiosità nei confronti dello sconosciuto destinatario diventa qualcosa di molto più profondo. L'interessante spunto iniziale, si perde però nel momento in cui Lazotti si convince che sia preferibile affidare meno importanza all'intreccio, mantenendo solo sullo sfondo la malattia e la detenzione, per lavorare maggiormente sui personaggi. Il film non riesce a mantenere il giusto equilibrio e alterna dramma e commedia senza riuscire mai a shakerare del tutto i due generi. Non lo aiuta un montaggio a tratti confusionario, giocato su una serie di flashback con continui sottotitoli temporali, che per il cinema contemporaneo dovrebbero essere ormai superati. Se poi l'intenzione del regista era quella di costruire dei “ritratti”, la missione può dirsi compiuta solo in parte: nonostante qualche sequenza didascalica, Cristiana Capotondi e Filippo Nigro hanno il pregio di dare vita a personaggi complessi e problematici, lavorando di sottrazione e restituendo due prove attoriali convincenti. Ad altra sorte è destinata Nicoletta Romanoff, scelta per interpretare il ruolo della ragazza di periferia afflitta da paure ed incertezze, che sparisce inspiegabilmente proprio nel momento in cui il film entra nel vivo, per poi tornare in scena in un finale poco credibile. Pessima, invece, la scelta di affidare i ruoli di poliziotti intransigenti a due comici, Pino Insegno e Carlo Buccirosso, che a causa del mix tra “serio e faceto”, in molti casi finiscono per rasentare la macchietta.

15/11/2010, 17:17

Antonio Capellupo