Fondazione Fare Cinema
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Nel libro "Ciak, si Scrive" una delle ultime
interviste al maestro Mario Monicelli


Nel libro
E' stato prrsentato alla libreria Edison di Firenze, “Ciak, si Scrive”, il nuovo di Giovanni Bogani sul cinema. Per metŕ manuale sulla sceneggiatura, per l’altra metŕ raccolta di testimonianze di scrittori, sceneggiatori, registi, “Ciak, si Scrive” č un viaggio nella mente di chi crea storie per il cinema.

Tra le interviste del libro, scritto con Lorenzo Paviano, Gaia Bartolini e Andrea Rapallini, c’č una delle ultime conversazioni con Mario Monicelli. Bogani parla con lui di come nascono i film, e ci fa entrare nella sua “bottega” artigiana. Per gentile concessione dell’editore Cult, pubblichiamo l’intervista con Mario Monicelli che appare nel volume “Ciak, si Scrive”:

Mario Monicelli. Parli con lui, ti aspetti di trovare un “maestro”. Trovi un uomo schietto, che dice le cose dritte dritte, senza retorica né enfasi. Di sé, commenta: “Avrei voluto essere Luis Bunuel o John Huston. Ma mi č toccato essere Monicelli, e l’ho fatto meglio che potevo”.
Monicelli, cos’č che deve avere di speciale l’idea che fa nascere un film?
“Ti deve sollecitare a tal punto che parlandone con gli amici gli argomenti aumentano, l’idea di base promuove altre idee… Se l’idea č valida, diventa un motore per tutto il resto”.
Quanto tempo voi sceneggiatori – lei, Benvenuti, De Bernardi, Suso Cecchi d’Amico – dedicavate alla chiacchiera, prima di mettervi a scrivere?
“Ore e ore tutti i giorni, per mesi!”.
Vi accadeva di recitare i dialoghi tra di voi, per “metterli in scena”, per vedere l’effetto che facevano?
“A volte sě. Si ‘recitavano’ le battute, e poi si parlava anche di altro. Si parlava di mille cose… Di donne? No, di donne si parlava poco… Ognuno aveva la sua, e non stava a parlarne tanto! No, si parlava di politica, di tutto. L’importante era stare insieme”.
Qual era l’aspetto piů importante, secondo lei, in una storia? Quando č che una storia “funzionava”?
“Quando, mentre ci raccontavamo il film, ci si divertiva! Se ci si appassionava alla storia, eravamo tranquilli contenti. Il film avrebbe interessato anche gli spettatori. Certo, a volte tutta questa tranquillitŕ non era giustificata, e i film sono andati male!”.
A volte le capitava di pensare a persone reali, di dire a se stesso: questo č un personaggio da film?
“Spesso ci rifacevamo a persone che conoscevamo o a personaggi di un libro, di romanzi, avvenimenti, persone incontrate nella vita che ci avevano raccontato un particolare. Eh, sě. Si ruba dappertutto. Non s’inventa mai nulla”.
Le storie di “Amici miei” da dove nascono?
“Erano storie che si raccontavano a Firenze: c’č lo spirito toscano che vive in quelle storie. Io le ho sapute da Benvenuti e De Bernardi”.
C’č un film che avrebbe voluto fare e che non ha fatto?
“Mah, forse qualcuno sě: ma č meglio che non li abbia fatti!”.
Si č pentito di qualche film che ha fatto?
“Parecchi! Me ne sono andati male parecchi, e quindi ho sbagliato a farli”.
E di quale film invece č piů orgoglioso?
“Orgoglioso di cosa? Non sono orgoglioso di niente”.
Lei ha spesso messo insieme comico e tragico. Ha scritto commedie venate di tragedia, e tragedie “ridicole”. Perché?
“E’ la mia attitudine nei confronti della vita che č cosě. Vedo le cose serie attraverso il filtro dell’umorismo. La vita č cosě, mescola comico e tragico. Anche ai funerali si puň ridere”.
Lei č poco incline al sentimentalismo…
“Assolutamente. Nei miei film, se c’č una scena d’amore, ci metto sempre dentro qualcosa che la smonti, che la distrugga, che smitizzi il rapporto tra i personaggi”.
Che cosa č piů importante di tutto, per uno sceneggiatore?
“Tre cose: leggere, leggere, leggere. Non bisogna pensare: ho visto tanti film, sono colto. I film non sono niente. Ci sono film anche molto belli. Ma la letteratura č piů importante”.
Tra i giovani registi, chi ammira di piů?
“Michelangelo Antonioni! Perché, anche se č morto, mi sembra il piů giovane, il piů innovativo di tutti. Io e lui facevamo film diversissimi, ma io ammiravo i suoi, e anche lui rispettava i miei. Poi, Moretti, Wenders, la Archibugi”.
Ha paura del futuro?
“No. Ho avuto una vita piena di soddisfazioni, non ho rimpianti. Io, la morte, l’ho giŕ fregata”.

10/12/2010, 19:30

Simone Pinchiorri