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Note di regia del film "L'Estate di Giacomo"


Note di regia del film
L’estate di Giacomo” è forse il primo “film” a cui ho pensato in assoluto.
All’epoca non era un film di cinema, era una storia, probabilmente un’allucinazione. Sulle rive del fiume Tagliamento ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza: ne conosco ogni più piccola sensazione, suono e odore. Fanno parte di me quel senso di noia e abbandono, e allo stesso tempo di avventura possibile, quasi da favola, che contraddistinguono quel paesaggio naturale.
Ho conosciuto Giacomo quando era un bambino, era il fratellino del mio migliore amico. Giacomo era sordo. Dieci anni dopo Giacomo aveva la stessa età di quando io scelsi di partire dall’Italia e stava per compiere un passo molto importante: voleva operarsi per sentire per la prima volta in vita sua. Nella sua decisione c’era qualcosa di fantastico. La sua storia mi è apparsa come una fiaba moderna in cui il protagonista diventa quell’eroe che, attraverso un’operazione chirurgica, si trasforma in ciò che aveva sempre sognato di essere. Ciò nonostante volevo lavorare con la realtà, con immagini concrete, grezze, ruvide, come sono quelle del documentario. Immaginavo un film che avrebbe seguito Giacomo durante tutta la sua metamorfosi. Sentivo profondamente che, se avessi perseverato a cercare la fiaba nella realtà, a un certo punto la realtà si sarebbe trasfigurata, come in un sogno a occhi aperti. Ho accompagnato Giacomo nei primi due anni della sua metamorfosi durante i quali ho cercato assieme a lui il modo migliore per raccontarla. L’intento era di rendere la realtà il più astratta possibile, così da rarefarla e farla diventare una sensazione, un sentimento. Ho filmato frammenti di vita quotidiana, provocando situazioni o aspettando che le cose succedessero. Istintivamente ho messo Giacomo in luoghi e situazioni dove non si sarebbe mai trovato altrimenti. I luoghi erano quelli dove mi rifugiavo quando avevo la sua età, quelli in cui mi sentivo bene: i luoghi della mia memoria, dei miei ricordi. Oggi, di fronte a me, Giacomo, le sue reazioni e il suo sguardo quasi vergine.
Sono arrivato a “L’estate di Giacomo” per attesa e decantazione. Le immagini mostravano da sole la loro ragione d’essere e raccontavano la misteriosa sensazione che mi aveva rimandato indietro nel tempo. Il miracolo che Giacomo aspettava per sé e quello che io con lui speravo per il film si è rivelato, ma non come ce l’aspettavamo.
La metamorfosi di Giacomo, questa storia straordinaria, si è manifestata, semplicemente, nelle piccole cose, nei piccoli gesti, le piccole conquiste che si fanno a quell’età, le sensazioni che ci fanno diventare grandi e che ci spingono verso l’altro. Ecco qui il vero miracolo. Non so ancora quanto di me avevo sentito in Giacomo per decidere di farne un film, né quanto Giacomo mi abbia fatto rivivere delle sensazioni che credevo di aver scordato per sempre. So di sicuro però, di aver condiviso assieme a lui ricordo e presente, allucinazioni e realtà, finzione e documentario, in un’esperienza comune, fugace quanto l’estate, intensa quanto e una timida carezza.

Alessandro Comodin