Come noto,
"Cesare deve morire" dei fratelli Taviani porta sullo schermo la trasposizione teatrale del "Giulio Cesare" di William Shakespeare che i carcerati di Rebibbia hanno realizzato sotto la guida di Fabio Cavalli.
Una trasformazione quindi doppia, perché oltre a quella inevitabile per
rendere rappresentabile in un luogo chiuso e regolato come una prigione un testo simile, bisogna considerare le ulteriori modifiche apportate a quella messa in scena per renderla (anche) cinematografica.
Inevitabili quindi le
restrizioni di location (anche se i fratelli Taviani hanno ben gestito gli spazi a disposizione,
evitando la staticità di una sola sala "liberando" i loro attori) e le
limitazioni di casting (via alcuni personaggi minori, spazio solo a un pugno di - ottimi - attori per i principali).
Resta comunque molto del "Giulio Cesare" originario, pur sé le modifiche al testo si siano estese anche a
variazioni "spicciole" (la rinuncia alla corona di Cesare vista da una finestra piuttosto che raccontata da Casca, per dirne una) o rilevanti, come quella di
far parlare ogni personaggio nel proprio dialetto d'origine.
La
modernità del testo originale è tale da risultare evidente sia allo spettatore/lettore sia agli attori,che in alcuni casi sono costretti a
fermarsi per l'emozione di rivivere momenti delle loro proprie vite.
La seconda parte del testo è quella più sacrificata dal film vincitore dell'Orso d'oro a Berlino 2012, con il racconto sintetico dell'arrivo a Roma di Ottavio e la guerra finale (ma vi sono spunti significativi lasciati interamente solo alla carta, come la spartizione del potere tra Antonio, Ottavio e Lepido).
"Cesare deve morire", pur nelle sue molte diversità,
resta comunque un film molto fedele nello spirito al testo da cui parte, ennesima dimostrazione - se ce ne fosse stato bisogno - dell'attualità dei testi classici e dell'immortalità shakespeariana.
06/03/2012, 13:11
Carlo Griseri