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Il Festival di Roma omaggia Tiberio Murgia


Il Festival di Roma omaggia Tiberio Murgia
Il cinema italiano rende omaggio a uno dei suoi più grandi caratteristi, l’attore Tiberio Murgia, adocchiato dal regista Mario Monicelli in Piazza di Spagna, un lontano sabato pomeriggio del 1957, e divenuto vera icona della commedia e del post neorealismo italiano dopo l’indimenticabile interpretazione nei “Soliti ignoti”.

E’ il critico cinematografico Sergio Naitza a firmare il primo film dedicato a Murgia
, scomparso nell’agosto 2010 dopo mezzo secolo di carriera e 155 film che hanno scandito un pezzo di storia del cinema italiano attraversato con l'inconfondibile presenza altera e imperturbabile che ha codificato lo stereotipo del meridionale irascibile e focoso.

"L’insolito ignoto - Vita acrobatica di Tiberio Murgia" titola la pellicola, interamente prodotta in Sardegna da Karel – Film and video production di Cagliari, con la fotografia di Luca Melis e il montaggio di Davide Melis: 103 minuti che ripercorrono la carriera di Murgia ma anche e soprattutto la sua storia personale, quella di un sardo che si riscatta dopo una infanzia e una giovinezza di fame e stenti, decide di emigrare a Roma e attraversa come un funambolo mille vicissitudini personali.

"Una faccia che bucava lo schermo, quella di Tiberio Murgia – spiega il regista, Sergo Naitza - Capello corvino, sopracciglia cespugliose, baffetto malandrino, mento all’insù come a reclamare una nobile alterigia che il Dna di proletario sardo gli negava. Il personaggio che gli aveva cucito addosso Mario Monicelli, di siciliano geloso, focoso, sciupafemmine, ha finito per imprigionarlo: Murgia ha clonato Ferribotte centinaia di volte tra parodie, imitazioni, remake fino a svuotare la caricatura d’ogni efficacia. Oltre la maschera la sua vita picaresca, un’esistenza da acrobata, oscillante fra bugie colossali e arte d’arrangiarsi. Geloso, pasticcione e falso, tombeur de femme di secondo livello, ma anche galante, rispettoso, timido. Insomma un'impostura vivente che ha saputo barcamenarsi nei guai che combinava".

"Sin dal momento in cui il regista ci ha parlato del documentario – spiega Luca Melis di Karel - abbiamo colto la validità del progetto: per mesi abbiamo cercato invano possibili fonti di finanziamento, e alla fine abbiamo deciso di produrre interamente noi il film. Lo abbiamo fatto perché crediamo in questo film, ma anche perché sapevamo di avere tutte le capacità e possibilità di trovare in Sardegna le collaborazioni necessarie per portare a compimento una produzione cinematografica, dalla pre produzione all'uscita in sala. Ora, a film fatto, speriamo possa essere di esempio e di stimolo affinché vengano valorizzate le professionalità presenti in Sardegna".

11/10/2012, 11:33