Dopo aver raccontato con grande delicatezza e affetto i giovani della Sardegna più rurale e interna,
Salvatore Mereu si sposta in città e offre con "Tajabone" (dalla insolita durata di 67') un quadro corale degli adolescenti, tra primi amori e prime gelosie, problemi in famiglia e nuovi incontri.
Come per tutti i lavori precedenti (e per il successivo "Bellas Mariposas", che tornerà in una ambientazione simile),
la prima cosa che colpisce è la capacità di Mereu di porsi "accanto" ai suoi personaggi, facendo a tratti nascere il dubbio - positivo - che si sia di fronte più a un documentario che non a un film di finzione.
Merito anche della
bravura nello scegliere volti e corpi per i suoi film, ovviamente, ma in questo caso anche dei giovani co-autori. "Tajabone", infatti, nasce da un corso di cinema che il regista ha svolto in alcuni istituti cagliaritani: dopo esser stato colpito dai loro racconti, Mereu ha
scelto di lavorare con loro alla sceneggiatura, affidando a loro stessi il compito di interpretarle.
Un copione sviluppato nel corso dell'anno scolastico (che forse avrebbe solo meritato qualche minuto in più di tempo per "chiudere" qualche storia lasciata troppo aperta),
un film girato in sole tre settimane e dai costi minimi (nell'ordine di alcune migliaia di euro): "Tajabone" (il titolo si riferisce a una tradizionale canzone africana che si ascolta a inizio e fine film) è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2010 nella sezione Controcampo.
15/12/2012, 10:45
Carlo Griseri