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Note di regia del documentario "Slow Food Story"


Note di regia del documentario
Sono nato a Bra, il paese dove è nato Slow Food e dove è nato e ancora vive Carlo Petrini. E quel mondo lì, quell’humus culturale, sociale, politico e gastronomico in cui sono stato allevato – Carlo Petrini è la prima persona che ha visitato la camera d’ospedale in cui sono stato riconsegnato a mia madre – so di avere la possibilità di raccontarlo dall’interno, senza trascurare i dettagli che sembrano secondari e non lo sono, vincendo quella certa reticenza mista a humour sottile e diffidente della provincia piemontese.

La vita di Carlin Petrini mi interessa perché è la biografia di un leader rivoluzionario, interamente votato alla sua causa, a scapito del suo privato e della sua salute. Solo che, a differenza di azioni di guerra e insurrezioni, la sua è una rivoluzione costellata di ristoranti, di incontri, di scontri, di sfuriate proverbiali e di mangiate come se non ci fosse il domani, all’insegna del rivoluzionario (quello sì) ‘diritto al piacere’.

Petrini ha capito prima degli altri che sul cibo si giocava una delle partite decisive del nostro tempo, e ha battuto su quel chiodo fino a che la gente non si è fatta richiamare in massa dall’eco di quei colpi.

Una storia importante, la sua, perché ci ricorda come anche le più importanti avventure culturali possono nascere da un approccio divertito e godereccio all’esistenza, lontano dalle cattedrali un po’ polverose del sapere. E’ mia convinzione che le persone siano tanto più grandi quando sappiano essere seri nelle cose facete, e invece essere leggeri – e anche un po’ cazzoni – nelle cose serie. Credo che Petrini, con le sue contraddizioni e le sue zone d’ombra, incarni proprio quel tipo di grandezza. E’ come un fratacchione eretico de Il Nome della Rosa, un tribuno popolare dalla forza oratoria strepitosa che parlando solo italiano misto a piemontese ha fatto proseliti in tutto il mondo.

Una personalità unica, debordante, che ha vissuto una vita che in pochi conoscono. E che anche per questo merita di essere raccontata.

E pensiamo di farlo con uno stile lontano dagli stilemi dell’inchiesta giornalistica televisiva, o del documentario oggettivato all’americana, realizzando bensì un vero e proprio docu-drama incentrato sulla vicenda umana di un visionario.

Non una biografia asettica e oggettivata, quindi, ma un racconto caldo, partecipe, emotivo, colorato, condotto dalla voce di un narratore mescolata alla pluralità di voci dei protagonisti, ognuna portatrice di un pezzo di storia e di verità. I molteplici punti di vista saranno le tessere di quel puzzle irrisolvibile e affascinante che è il ritratto di un essere umano. Ci saranno materiali di repertorio, innanzitutto, e saranno i più diversi, perché la storia copre molti anni – i 25 anni di Slow Food ma anche quelli precedenti al movimento – e perché il gruppo di Bra non era avvezzo a riprendersi, ma a un certo punto di media hanno incominciato a interessarsi a loro: ci saranno foto, spezzoni video, pezzi di notiziari e rubriche tv, frammenti di youtube e canzoni. E dove non ci sarà materiale useremo l’animazione per raccontare evocando, rielaborando. E poi ci sarà l’oggi, raccontato sul posto, con documentazioni a due camere ed eventi ripresi in diretta, insieme ai protagonisti. E poi le interviste dei protagonisti, dei testimoni, di chi ha un’opinione autorevole e magari anche controversa su questa vicenda.

Le musiche non saranno oleografiche e concilianti, ma piuttosto ruvide, irriverenti, de-mitizzanti: le immagini saranno lavorate, gli stili contrapposti, la sintassi spuria. Ci piacerebbe restituire nel linguaggio del documentario l’irruenza ineducata e intellettualmente contagiosa del Carlìn-pensiero: non vogliamo farne un monumento quanto piuttosto un pupazzo, fatto di tessuto tattile, ruvido, e di materiali i più disparati, anche di recupero. Una specie di Spaventapasseri, ecco, ma con la pancia piena.

Attraverso la biografia di Petrini ognuno potrà leggere la storia del movimento Slow Food, autentica emanazione della personalità e delle intuizioni del suo fondatore. Ma noi non vogliamo enunciarle, come un dato di fatto, imboccando lo spettatore come se fosse una minestra al cucchiaio. Ci piacerebbe invece che egli – seguendo la rocambolesca, falstaffiana vicenda di Carlìn – fosse in grado di scorgere sullo sfondo quella che è la big picture del cibo mondiale, ovvero le dinamiche globali dell’agroalimentare e i temi gastronomici più scottanti dei 60 anni coperti dall’arco temporale della storia. Il cibo – anche grazie al contributo di Carlo Petrini e dei suoi amici del mangiar lento – è diventato uno dei grandi temi della politica globale del pianeta. Non solo nell’accezione partenalistica dei più ricchi che sfamano i poveri, ma come oggetto di dibattito culturale, di scontro, di appartenenza, di visione del mondo e dell’ambiente. Come ciò sia accaduto, è oggetto del racconto, a un livello più profondo e meno dichiarato, di questo nostro piccolo film

Stefano Sardo