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GIOVANNI SPAGNOLETTI - I documentari, i festival e... Venezia


Il Professore, a Lampedusa con la selezione di documentari per "Vento del Nord", dice il suo punto di vista sui Festival italiani, sulla situazione del documentario cinematografico e sulla prossima edizione della Mostra di Venezia. Festival spazio insostituibile, documentari italiani sempre interessanti ma vittime di un'onda lunga, Venezia a caccia di una nuova luce internazionale


GIOVANNI SPAGNOLETTI - I documentari, i festival e... Venezia
Giovanni Spagnoletti (a dx) a Lampedusa (Foto Coccia)
Giovanni Spagnoletti è a Lampedusa per i documentari ma soprattutto per seguire la giuria di ragazzi dell'isola che eleggeranno il miglior film tratto da unipare letteraria. Dopo la riunione con i giurati, come rianimato dallo spirito di questi giovani amanti del cinema, lo abbiamo intervistato in cerca di una sua panoramica estiva sulla situazione del nostro cinema migliore.

Questo premio assegnato dagli studenti al film tratto dalla letteratura che cosa significa per te?

"È un'occasione per cui le persone e i giovani in particolare si avvicinino sempre di più al cinema che in questo momento sta perdendo un po' di fascino. I giovani in generale tendono più a raccontare e a vivere in prima persona che vedere e criticare; tanti preferiscono smanettare e c'è più gente che fa video di quelli che poi li vedono.
E allora occasioni come questa di Lampedusa servono per riportare la fondamentale magia del grande schermo in un'isola che non ha più cinema e lavora soprattutto sulla popolazione di turisti ma anche del luogo che non ha questa possibilità, questo credo sia uno degli aspetti più emozionanti. Un altro aspetto è che evidentemente il cinema si basa sul testo scritto e in questo caso abbiamo preso in esame le tendenze acquisite rispetto alla letteratura con una sinergia sempre più stretta tra queste due piccole industrie artigianali. La selezione che abbiamo fatto, relativamente incompleta anche per problemi di diritti, accoglie diverse occasioni e tipologie che vanno da una semplice trascrizione a un'ispirazione a un testo fino a rileggere un'epoca come nel caso de "Il Giovane Favoloso" con uno dei principali autori della letteratura italiana".

Occasione per riportare il cinema dove non c'è più. I festival estivi possono avere questa funzione distributiva?

"In alcuni settori di fatto lo sono: per i cortometraggi i festival sono l'unica occasione, a parte rari casi, in cui di vivere la propria vita di visione e questo avviene anche per gran parte dei documentari; per il cinema le tipologie dei festival sono diverse tra chi presenta opere completamente inedite e chi invece ripropone a un pubblico di affezionati e cinefili una serie di film importanti e magari di cinematografie poco conosciute. I festival estivi hanno in più questo elemento che è l'arena, la piazza, le stelle; vedere il cinema sotto le stelle è per me una delle esperienze più belle che ricordo sin da piccolo, anche se poi tecnicamente i film nelle arene sono sempre meno precisi per la luce, i rumori... però si acquisisce quell'elemento di festa che il cinema deve continuare ad avere se deve essere un'arte popolare".

Documentari che hanno circuitazione naturale tramite i festival, come vedi la nuova generazione di documentaristi.

"C'è stata una svolta importante soprattutto nel cinema italiano nei primi anni del 2000, una nuova scuola di registi che si ispiravano a questo concetto del cinema del reale. Può essere tutto o niente ma sostanzialmente è un cinema che vuol essere più attento alle problematiche di tutti i giorni e di tutti i tipi: ecologiche, politiche, ma anche ludiche e non necessariamente incanalato in un discorso militante come lo era spesso il cinema documentario di un tempo. Questa ondata a fatto sì che siano usciti fuori dei nomi interessanti di persone che sono passate dal documentario alla finzione in cui però l'aspetto documentario ha un'importanza sostanziale.

Quali sono i tuoi autori di documentari preferiti?

"Ce ne sono parecchi ma direi, Costanza Quatriglio, Pietro Marcello ma anche, tra quelli passati al cinema di finzione Andrea Segre e Gianfranco Pannone"

Qual è la situazione attuale del documentario italiano?

Il cinema documentario attuale forse avrebbe bisogno ancor di più di una nuova spinta innovativa. Abbiamo avuto un bel periodo e adesso percepiamo un momento di onda lunga e ci aspettiamo che torni a esserci una forza maggiore".

Rispetto all'estero come è la situazione in Italia

"A livello produttivo il budget italiano per i documentari è sempre molto basso, tranne in alcuni casi, rispetto a quelli francesi o americano; per questo si sconta una differenza di qualità industriale, a livello artistico sono convinto che attualmente il cinema documentario comunque è o ha appena finito di essere uno degli aspetti più interessanti dell'audiovisivo di oggi. In genere ci sono più bei documentari che film di finzione da vedere e spesso il livello è molto alto. Chi fa documentari vive un coinvolgimento maggiore di chi fa cinema di finzione industriale come il cinema italiano".

Hai dato un'occhiata al programma di Venezia 72? Cosa ne pensi?

"Come dice il Direttore il programma di quest'anno è "Sorprendente"... vedremo se questa sorpresa sarà giustificata in bene o in male... diciamo che è un programma che sembra essere meno scontato, questo non necessariamente è un difetto, anzi, c'è un minimo di coraggio.
Il problema è che la Mostra di Venezia si trova in una situazione di competitività diversa e deve ritornare ad avere un ruolo da leader con uno sforzo grosso per riprendersi il suo ruolo perché non basta più la storia di essere il primo festival al mondo, artistico, la città di Venezia e compagnia bella... ma la lotta contro competitori sempre più forti, e ad esempio la sovrapposizione con il festival di Toronto che quest'anno è quasi assoluta, fa si che una gran parte delle produzioni americane non vengono più in europa perché costa troppo e la promozione in un paese come l'Italia non rende quanto poteva rendere una volta con il nostro mercato oggettivamente meno forte, appetibile e competitivo di quello che era. E c'è, di fatto, anche un po' di offuscamento dell'interesse giornalistico nei confronti del cinema. La conferenza stampa di Venezia è stata forse l'ultima conferma di questo allontanamento. Io ho la sensazione che Baratta ha fatto tutto quello che poteva fare per rimettere in piedi i cocci quando si è capito che non c'erano i soldi per fare la nuova sala. Venezia ha perso quell'occasione che avrebbe dovuto avere venti anni fa, come tutti i grandi Festival europei, come Berlino come Cannes... è anche vero che il mercato attuale è completamente diverso, e la sala virtuale piuttosto che il festival come occasione d'incontro e di confronto di idee rimangono le linee che vanno sicuramente rafforzate. E poi ci vuole un minimo di glamour perché senza il glamour poi non hai le tv. I lustrini, uno può polemizzare quanto vuole, ma sono e devono essere molto utili".

04/08/2015, 11:08

Stefano Amadio