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FdP 56 - Intervista a Matteo Tortone ed Andrea Fenoglio


Gli autori ci parlano di "Su Campi Avversi", parte integrante del progetto crossmediale "La Terra che Connette".


FdP 56 - Intervista a Matteo Tortone ed Andrea Fenoglio
Matteo Tortone ed Andrea Fenoglio
Come è nata l’idea per la realizzazione di "Su Campi Avversi"?
Andrea Fenoglio e Matteo Tortone: Il film é parte integrante del progetto crossmediale LA TERRA CHE CONNETTE (www.laterracheconnette.it), lavoro iniziato nell’estate del 2013. In poche parole il progetto vuole raccontare storie di migranti e autoctoni mettendole in relazione empatica tra di loro, costruire quindi narrazioni che modulino contrasti e differenze ponendole però su uno sfondo di un’unica comunità in trasformazione. Il progetto documentaristico LA TERRA CHE CONNETTE ha rappresentato uno strumento di conoscenza per un territorio specifico: il saluzzese (Piemonte), la dove si incontrano e si scontrano i braccianti della frutta e gli agricoltori ed é divenatato un FORMAT che si può applicare ad altri territori e situazioni descrivendo dinamiche locali in chiave universale.
Andrea Fenoglio: Nel 2013 é nata la serie web e nel 2014 é iniziata invece la collaborazione tra me Matteo e Irene Dionisio che ha portato ai materiali di questo film, io ho seguito la storia di Martin, l’agricoltore espropriato del film, e Matteo e Irene hanno invece seguito le storie che passano dal campo di accoglienza della Caritas. Utilizzando i materiali miei e di Matteo abbiamo composto SU CAMPI AVVERSI, mentre Irene ha montato un episodio web (COSÌ LONTANO) che é uscito proprio in questi giorni sul sito web.

Come avete deciso di "girare" e di comporre le due parti dell'opera?
Andrea Fenoglio e Matteo Tortone: Le collaborazioni al progetto si sono caratterizzate per una totale libertà espressiva concessa ai registi coinvolti. Anche i nostri due lavori erano inizialmente destinati all’uso per il web, nel mentre che li giravamo ci siamo però accorti che potevano dialogare tra di loro, avevamo la storia di uomini che passano nel campo di accoglienza e, parallelamente, c’era un ex agricoltore italiano che stava a 200 metri di distanza dal campo e abitava in una roulotte perché gli avevano espropriato la sua terra. Si creava una sorta di specularita' cieca: una riproposizione dell'identico. I due episodi descrivevano vite limitrofe soggette alle stesse necessità e alle medesime solitudini. Quindi abbiamo iniziato a ragionare alla composizione di un film a due episodi, anche per valorizzare le peculiarità e la personalità di entrambi. Non abbiamo però lavorato nell’uniformare queste due parti, anzi abbiamo enfatizzato le differenze estetiche dei due lavori, riconoscendole come corrispondenti formali delle rispettive situazioni esplorate e convinti che lo stridore prodotto dalla loro giustapposizione sia portatore di senso e innesco per molteplici riflessioni. Abbiamo poi usato le immagini con il drone per dare una visione del territorio in cui si trovano a passare e vivere migranti e autoctoni e dare l’idea dell’unico piano d’immanenza, dei campi avversi che uniscono tutti i personaggi del film, realmente sotto lo stesso cielo.

E' un film sull'isolamento e sui "recinti"...
Andrea Fenoglio e Matteo Tortone: É un film spigoloso, che non fa sconti allo spettatore ma lo invita a scavare e a scoprire una cosa molto terra a terra, ossia che la realtà delle cose ci riporta tutti, migranti e autoctoni, sulla stessa barca. Possiamo avere visioni diverse del mondo, prospettive diverse del territorio che ci ospita, ma non possiamo più scappare da un destino che unisce indissolubilmente il locale al globale. Questa é la sfida nascosta dietro la spigolositá estetica del film. La stessa sfida che sta alla base del progetto LA TERRA CHE CONNETTE.

Che umanità avete incontrato e come siete riusciti ad entrare in contatto con i "personaggi" del documentario?
Andrea Fenoglio: In qualità di produttore del lavoro ho introdotto Matteo e Irene al campo che avevo già conosciuto l’anno precedente, e mi sono concentrato nella relazione con Martin, l’autoctono espropriato. Sono entrato in contatto con lui grazie a intermediari che mi hanno permesso di costruire una relazione di vera amicizia. Martin mi ricorda un repubblicano statunitense, penso di averlo descritto molto da questo punto di vista, come un uomo di frontiera espropriato dai suoi terreni ma, nello stesso tempo, padrone del suo territorio che conosce come le sue tasche. Nella dinamica del film penso che questo serva a dare profondità al paesaggio etereo in cui si trovano a passare i migranti stagionali.
Matteo Tortone: Per me è stata un'esperienza umana molto profonda. Sono stato accolto all'interno del campo in maniera molto naturale ed ho avuto modo di condividere la quotidianità spicciola del campo. Sintetizzando, mi sono trovato di fronte a delle persone in balia del proprio destino, logorate dalla consapevolezza di esserlo ma nn vinte dalla rassegnazione, bensì guidate da una forte speranza di cambiamento delle proprie esistenze.

03/12/2015, 20:56

Simone Pinchiorri