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SFASHION - Quando è il capo ad essere in crisi


Il racconto di una imprenditrice che cerca di salvare la propria azienda tessile, da una crisi economica ma anche identitaria. Diretto da Mauro John Capece indaga nella crisi di un'industria e scopre le fragilità di una donna che fatica ad imporsi. In sala il 23 marzo con Imago Distribution Films


SFASHION - Quando è il capo ad essere in crisi
"Sfashion" di Mauro John Capece
Sono pochi i film che raccontano la crisi emozionale che deve affrontare il capo di un’azienda, molto spesso descritto come un uomo cinico e avido, distante dai propri operai. "Sfashion" racconta invece in modo introspettivo, lo sgretolamento identitario e professionale di una donna. Evelyn è un’imprenditrice di terza generazione che porta avanti con difficoltà una azienda di moda nella Val Vibrata.

Un’impresa sempre più difficile dati gli ostacoli che velocemente si presentano: la richiesta di un cliente di scontare la merce del 30 percento, i conti sconfortanti dei ragionieri e i malumori degli operai. Evelyn è una donna sola, aggrappata a un passato che si ostina a recuperare e a un collega di lavoro, l’unico veramente vicino a lei, con il quale però continua ad avere un rapporto formale.

Il regista Mauro John Capece fin da subito rivela la sua volontà di investigare le fragilità della protagonista, una donna elegante, ma chiusa nella sua poca intraprendenza. Colpa anche di una sceneggiatura essenziale, più che le motivazioni e la vera storia, Evelyn (Corinna Coroneo) si sofferma a farsi delle domande e a lanciare vane richieste di aiuto. La bellezza dei tessuti viene opacizzata dal grigiore degli interni, finalizzati a proporre la stessa inquietudine della protagonista. Le lunghe camminate, la recitazione a volte amatoriale, riportano il film a una storia molto più semplice. Evelyn è un’anima in pena, che tra i fantasmi di un passato appena accennato e un presente che non riesce a concretizzare, viene sconfitta dal peso delle responsabilità, simile a quello della passione di Cristo.

Un lento declino che ha sempre più il sapore della rassegnazione di una donna viziata che non ha mai avuto familiarità con i problemi, come dice Bartolomeo in uno dei pochi momenti di lucidità del film. Una trama troppo leggera per la plasticità del film, un pathos attoriale che troppo delega al non detto e alla catarsi, arte che si addice a Medea, meno ad Evelyn.

24/03/2017, 08:39