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Note di regia di "'Na Wave"


Note di regia di
Realizzare un documentario non è affatto una cosa semplice. Quando si ha a che fare con un lavoro di fiction, un regista deve tenere conto di due parametri, ovvero soddisfare se stesso e il pubblico.

Con il documentario invece si aggiunge un terzo elemento da rispettare, vale a dire la realtà raccontata, formando una sfida a tre, “autore – pubblico – realtà” molto delicata. Con “‘Na Wave” quindi le difficoltà non erano affatto poche durante la lavorazione, a cui doveva essere sommato un ulteriore aspetto: parlare di Napoli, una delle città più presenti e mostrate al mondo. Come approcciarsi a questa prova? L’ispirazione è arrivata col tempo, grazie alla visione di vari film girati nel capoluogo campano, che puntualmente tradivano la complessità e le molte sfaccettature della città.

Erano tutte pretenziose, fastidiosamente costruite a tavolino e tendevano ad adagiarsi solo sul lato turistico e folcloristico di una megalopoli stratificata in secoli di cultura. Inoltre, c’era il Vesuvio ovunque, come una coordinata costante, quasi a rappresentare una vasta gamma di cliché triti e ritriti. Sentivo che era il caso di tornare a un punto zero, dove poter parlare di Napoli senza incappare nei suoi celebri luoghi comuni. Non volevo immagini da cartolina, cliché e nostalgici materiali di repertorio. Bisognava affrontare in discorso del “qui e ora”, evitando di offrire al pubblico il famoso “cocco ammunnato e buono”.

È in queste riflessioni che è scattata la molla di una certa austerità visiva. La città è stata fin troppo vista sul grande schermo, perciò ho sentito il bisogno di tornare ad un’atmosfera di rievocazione e sussurro, dove lo spettatore deve essere stuzzicato dalle parole dei musicisti e invitato ad interessarsi alla città senza vederla troppo, con suoni e suggestioni di una Napoli rappresentata in modo quasi velato. La regia, in rispetto della “realtà raccontata”, doveva necessariamente essere quasi assente per dare spazio e risalto, oltre che voce, agli artisti rappresentati, per dargli respiro e possibilità di mostrare loro stessi e il loro pensiero, tramite gesti, linguaggi e riflessioni personali, liberi da ogni vincolo precostruito.

In “‘Na Wave” contano le parole e le note della scena musicale partenopea. Motivo per cui lo strumento più sterile a disposizione dei documentari, ovvero le interviste, in questo caso sono state fondamentali per permettere agli artisti di raccontare e raccontarsi senza interferenze; inoltre, per accentuare il coinvolgimento con lo spettatore, le riprese di interviste e brani sono state eseguite posizionando il pubblico come in un dialogo continuo con gli artisti mostrati.

Salvatore De Chiara