FESTIVAL DEI POPOLI 58 - Intervista a Barberi e Russo


I registi di "The Remnants", documentario sul paese più bombardato della storia.


FESTIVAL DEI POPOLI 58 - Intervista a Barberi e Russo
Una scena di " The Remnants"
Come e quando siete venuti a scoprire questa particolarità del Laos?

La decisione di lavorare al progetto The Remnants è stata presa nel 2013 su proposta dell’autore del soggetto, Flaminio Cozzaglio che aveva visitato i luoghi in cui si svolge la nostra storia.
Ci troviamo in un periodo storico caratterizzato dalla imponente presenza nei media di immagini di grande impatto legate ai tanti conflitti in corso. Conflitti dove le popolazioni civili sono sempre più coinvolte, con effetti che si propagano nel tempo e nello spazio ben al di là della durata dei conflitti stessi.
Come autori italiani abbiamo sentito la necessità di lavorare su questi argomenti. I motivi sono molteplici. Tra questi c'è l'esigenza che abbiamo di relazionarci con chi scappa oggi dalla guerra e raggiunge il nostro paese. C'è poi il desiderio di recuperare un rapporto con la nostra stessa storia di paese bombardato, che ha conosciuto la devastazione e le sue conseguenze durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.
Infine c'è la necessità di riflettere sulle responsabilità italiane nella evoluzione tecnologica delle tecniche di “distruzione dall'alto”. Il primo bombardamento aereo della storia fu in Libia il 1° novembre 1911, durante la Guerra Italo-Turca, quando da un velivolo militare italiano furono lanciate quattro granate tra le fila ottomane. Italiano è infatti a che il primo teorico della guerra aerea, il Generale Giulio Douhet.
Oggi siamo sottoposti ad una grande quantità di immagini che parlano di guerra. La possibilità di utilizzare un numero pressoché infinito di fonti audiovisive appartenenti sia alla rete di informazione ufficiale sia a fonti indipendenti ha moltiplicato i punti di vista e allo stesso tempo definito un linguaggio visivo che sembra esaltare il conflitto in atto e nello stesso tempo negare l’eredità perenne che ogni scontro lascia su un territorio.
L’idea alla base di The Remnants è invece quella di lavorare sugli effetti indelebili che una guerra lascia su una società. Il tentativo è quello di comprendere come, tra i lasciti visibili degli eventi bellici del passato si insinui l’espansione dell’economia di mercato che oggi più che mai esercita la sua influenza.

La quotidianità che mostrate quanto è diffusa nel paese? Esiste un'area più esposta o è
equivalente in tutto il territorio?


La parte più bombardata è ovviamente quella confinante con il Vietnam, dove passa il famoso percorso di Ho Chi Min e dove i Viet Cong passavano per non essere intercettati dall’esercito americano ma l’intero paese è stato coinvolto.
E la quotidianità uno dei cardini narrativi su cui si basa il documentario. Il paradosso del Laos è che pur non essendo mai entrato in guerra è diventato il paese più bombardato della storia. E proprio per l’imponente quantità di esplosivo ricevuto e ancora presente sul proprio è diventato un caso paradigmatico tra i paesi colpiti dalla guerra contemporanea.
Ed è proprio nella vita di tutti i giorni si palesano le maggiori contraddizioni. La bomba che fa bella mostra di sé nel villaggio di montagna laotiano, magari riciclata come sostegno per un granaio, oppure come mangiatoia per gli animali, è il segno della stessa forza vitale che produce il consumo di massa, i sistemi politici complessi, il turista munito di videocamera. Una forza creativa in grado di cancellare, anche fisicamente dove sia necessario, tutto ciò che la ostacola.
La distruzione coesiste con la costruzione, le vecchie ferite si rimarginano, nuove possibilità emergono mentre la società attuale si apre a nuove contraddizioni, tutt’ora legate ad un conflitto accaduto 40 anni fa.

C'è ritrosia nel raccontare questa situazione da parte della popolazione? La scelta dei vostri "protagonisti" come l'avete svolta?

La popolazione del Laos è una delle più giovani al mondo, l’età media si aggira intorno ai 21-22 anni e noi volutamente abbiamo scelto i nostri protagonisti tra persone che sono nate dopo la fine del conflitto, proprio per sottolineare il fatto che anche se è ormai difficile rintracciare una consapevolezza politica delle conseguenze della guerra, il conflitto permea tuttora la vita di milioni di persone. I nostri personaggi sono infatti Nouds, una guida turistica che propone itinerari nei luoghi della guerra, e Saisamone, una militare che comanda un team di sminatrici nelle aree rurali del Laos. C’è poi un terzo protagonista “inanimato” che è il cosiddetto UXO (Unexploded Ordnance), la bomba inesplosa.
È proprio l’UXO a dettare il ritmo della narrazione e l’alternarsi degli stati emotivi. L’UXO in quanto ordigno non ancora esploso, è il metronomo della nostra storia, vissuta tutta in una porzione di tempo compresa tra l’ancora non esploso e la detonazione.
La continua proiezione mentale verso un'esplosione che non si sa se avverrà, il potenziale distruttivo al quale viene esposta perennemente l’esistenza umana, genera una tensione vitale di intensità differente che abbiamo cercato di riprodurre nel film.
La storia tende a descrivere con meticolosità proprio il rapporto fisico tra l’individuo e il metallo, tra l’essere umano e la bomba, nella osservazione distaccata della lavorazione del ferro recuperato tra i residuati da parte dei fabbri di villaggio.

Quanto tempo ci avete lavorato, con che tipo di troupe, giorni di ripresa...?

Il progetto è nato nel 2013, dopo che il soggetto è rimasto nel cassetto per un paio d’anni. Ci siamo auto finanziati una prima missione che ci ha permesso di realizzare un promo e presentare il progetto ai mercati e ad alcuni produttori. Poi è arrivato il finanziamento per lo sviluppo del programma Media Creative Europe che ci ha permesso di effettuare una seconda missione e infine sono entrati nel progetto come produttori RAI Cinema e RSI Svizzera grazie ai quali abbiamo terminato il film.
La troupe per questo tipo di progetti è necessariamente ristretta sia per motivi logistici che economici. Di solito altre a noi registi, che svolgiamo anche il ruolo di operatori, lavoriamo con un fonico e, quando possibile, con un produttore esecutivo che ci aiuta nell’organizzazione delle riprese.

19/10/2017, 08:33

Carlo Griseri