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FESTA DEL CINEMA DI ROMA 12 - "The Place"


Paolo Genovese chiude la Festa con il suo nuovo film. Il luogo delle scelte e la lista dei desideri e delle debolezze. Con Valerio Mastandrea e Marco Giallini


FESTA DEL CINEMA DI ROMA 12 -
Valerio Mastandrea in "The Place" di Paolo Genovese
Un esercizio di stile, di scrittura e di contenuti, quello con cui Paolo Genovese torna al cinema dopo il successo di "Perfetti Sconosciuti". Anche qui ambiente unico, molti dialoghi, primi piani e una messa in scena stretta tra le mura di un bar di città.

"The Place", questo il nome del bar nonché titolo del film, è il luogo delle scelte, la sede di chi deve mettere gli uomini di fronte alle strade estreme della vita, difficili, spesso importanti, alle volte futili. Cosa sei disposto a fare per ottenere quello che vuoi? Ed è il personaggio di Valerio Mastandrea, seduto in un angolo del bar che ascolta le richieste e affida ai suoi “clienti” degli incarichi perché queste si realizzino.

Di fronte a lui una serie di persone normali, che farebbero qualsiasi cosa per riavere quello che hanno perduto, o per trovare ciò che hanno sempre sognato. Le storie dei “clienti” si intrecciano, le richieste di uno si realizzeranno solo nel destino di un altro, cambiando la vita e arrivando sempre ad una soluzione. Nessuno è obbligato a rispettare gli accordi, ma in caso contrario il risultato, l’ottenimento del desiderio non è assicurato.

Genovese racconta il bene e il male, le scelte e i limiti umani rimanendo chiuso in un solo ambiente ma soprattutto insistendo sul racconto dei fatti e scegliendo di non andare a vedere quello che accade. Tratto dalla serie tv "Booth at the end", "The Place", rimane statico nel racconto anche se rinnova e approfondisce con le sfumature il ritratto dell’animo umano più che dei singoli personaggi.

Forse un po’ lungo, con più finali che servono a chiudere le storie dei singoli “clienti”, il film di Paolo Genovese non convince del tutto. La teatralità della messa in scena e la prevalenza dei dialoghi sul racconto per immagini, probabilmente funzionano di più in puntate per la tv da 25 minuti, al cinema rischiano anche di mettere in difficoltà gli stessi interpreti, vincolati dall’ambiente ma anche, malgrado gli sviluppi, dall’impossibilità di approfondire i propri personaggi, rimanendo sulla superficie dei desideri e delle debolezze umane.

04/11/2017, 12:51

Stefano Amadio