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TFF35 - Intervista a BRUNO BIGONI


Intervista al regista di "My War is not Over - La Mia Guerra non è Finita", presentato al Torino Film Festival 2017


TFF35 - Intervista a BRUNO BIGONI
Bruno Bigoni
Lo scorso anno è stato ospite del Torino Film Festival con il curioso mockumentary "Chi mi ha Incontrato non mi ha Visto (L'ultima fotografia di Arthur Rimbaud)", quest'anno è tornato con una storia vera, verissima e quantomai importante, "My War is not Over - La Mia Guerra non è Finita". Il suo nome è Bruno Bigoni, regista mai banale: lo abbiamo intervistato.

Come nasce il progetto, la storia dell'ex-soldato inglese Harry Shindler, sbarcato ad Anzio nella seconda guerra mondiale e oggi, a 95 anni, impegnato nel cercare di dare un nome alle tante giovani vittime di quel conflitto?

Il progetto non nasce intorno a Harry, è nato sui cimiteri di guerra, che in Italia sono 37-38, dalla Sicilia fino al Friuli: il nostro paese ne è pieno, posti in cui l'età della maggior parte dei morti è di 22-23 anni. Parlo di circa 100-120.000 persone, solo in Italia.
La suggestione è nata da lì, dalla volontà di raccontare quelle storie, penso che lì sia racchiuso tutto quello di buono che abbiamo fatto dalla fine della guerra in poi...
Casualmente, mentre lavoravo su queste cose, ho letto sul giornale del libro su Harry scritto da Marco Patucchi. L'articolo era sul caso di Roger Waters, ma non mi interessava: mi ha colpito questo 96enne che ogni giorno dalla mattina alla sera lavora con questa missione, indifferente agli acciacchi, fedele alla sua missione.

Un film sulla memoria.

Esattamente, il tema della memoria è alla base di tutto. Ci sarebbe molto da parlare di questo, oggi in Italia e in Europa vediamo cose molto brutte, movimenti neonazisti che si affacciano nuovamente e che pensavamo di aver dimenticato. Harry inorridisce a vedere tutto ciò, e io come lui.
È importante parlare ai giovani della memoria, è uno dei nostri obiettivi.

Come hai lavorato sul materiale di repertorio?

Per raccontare la guerra di Harry ho fatto una ricerca negli archivi, ma di girato dagli inglesi c'è molto poco, siamo dovuti andare al War Museum di Londra e al British Pathé a verificare i materiali, trovando poi quello che abbiamo inserito.
Ho cercato di raccontare l'Harry ventenne, giovane soldato sbarcato in Italia, e con lui le migliaia di ventenni nelle stesse condizioni. Ho cercato di mantenere anche il suo sguardo ironico, che ha ancora oggi, su tutto quanto... Ho cercato di imparare tutto il possibile da lui!

La presenza del padre di Roger Waters, leader dei Pink Floyd, ha dato visibilità al lavoro di Harry: come lo hai affrontato nel tuo documentario?

L'ho affrontato come ha fatto Harry: lui trova i materiali sul tenente Waters, chiama Patucchi e gli chiede se conosce un certo Roger Waters, di cui ignorava l'esistenza... Lo ha chiamato, gli ha annunciato la scoperta e gli ha parlato del caso del padre, ma trattandolo esattamente come tutti gli altri, come è giusto che sia. Questo si vede molto bene anche nel documentario.

29/11/2017, 22:56

Carlo Griseri