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LUCHINO VISCONTI ALLA RICERCA DEL TEMPO
PERDUTO. IL CINEMA CHE MAI NON FU


Mostra dei bozzetti e i figurini degli allievi di scenografia e costume del Centro Sperimentale di Cinematografia- Scuola Nazionale di Cinema. Dal 19 febbraio al 21 marzo 2018 alla Casa del Cinema di Roma.


LUCHINO VISCONTI ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO. IL CINEMA CHE MAI NON FU
Luchino Visconti
Gli studenti della Scuola Nazionale di Cinema del corso di Scenografia del secondo e terzo anno, diretto da Francesco Frigeri, dal tutor Carlo Rescigno e del corso di Costume diretto da Maurizio Millenotti , dal tutor Giovanna Arena, hanno lavorato ad un “Progetto di un film immaginato e mai realizzato” affrontando "La Recherche" di Proust. Luchino Visconti avrebbe voluto farne un film ma cominciò negli ultimi anni senza riuscire a finirlo. Ci resta la sceneggiatura scritta da Suso Cecchi d’Amico con la quale andò in Francia a cercare i luoghi in cui girare, alcuni bozzetti di Tosi e un libro del fotografo Claude Schwartz che li aveva accompagnati.

L’immensa opera proustiana è stata una grande occasione di confronto per gli allievi dei due corsi del Csc, hanno ricostruito ambienti, paesaggi, atmosfere usando l’antico metodo del bozzetto.

Scrive Tommaso Strinati nella presentazione della Mostra: “ Scorrendo le opere esposte in mostra al visitatore non sfuggirà un aspetto: ogni studio ha in sé la solidità di un’opera finita, di un dipinto concluso. Siamo abituati a considerare il bozzetto un momento creativo in cui si fissa l’idea su carta per trarne magari una composizione completamente diversa, aspettandoci da esso un aspetto nervoso e poco definito, adatto ad essere rimaneggiato, cancellato, modificato. I disegni di Annibale Carracci o di Gian Lorenzo Bernini, ed esempio, sovente sviano dalla forma del dipinto o della scultura definitiva, e proprio questo libero sfogo di creatività ci ha lasciato tracce preziose sul metodo di lavoro di tanti noti protagonisti della storia dell’arte antica e moderna.

Il mestiere dello scenografo è quello più dietro alle quinte in un’équipe cinematografica, eppure senza un’adeguata preparazione della scena qualsiasi sceneggiatura rischierebbe di perdere pesantemente il suo senso drammaturgico. Una buona scenografia può essere quella di Kate Altman in Paris Texas (1984) di Wim Wenders, dove senza accorgerci ci caliamo nel film come proseguendo le nostre vite quotidiane, oppure può caratterizzarlo così tanto da prendere il sopravvento su di esso, come quella di Norman Garwood in Brazil (1985) di Terry Gilliam, dove un mondo visionario del futuro deve prendere corpo e vivere. Una buona scenografia è il primo passo verso l’immedesimazione nella storia filmica, l’approccio visivo alla scrittura, ed essa regge un film come il basso elettrico in una canzone dei Police: senza di esso, viene meno il sound dell’intero brano. Per questo motivo il bozzetto scenografico deve essere rigoroso, preciso, raccontare una scena nei minimi dettagli affinché tutti i reparti, dalla direzione della fotografia ai costumi, dal suono in presa diretta alla direzione degli attori, concorrano a caratterizzare quello spazio teatrale che solo il nudo set lascia intravedere e che nella macchina da presa scompare dietro ai bordi dello schermo cinematografico.

Prendiamo ad esempio, nei luoghi della Recherche esposti in mostra, il celebre Grand Hotel Balbec dove Proust trascorreva le vacanze estive; sappiamo che Balbec è un luogo che non esiste, proiezione poetica della cittadina di Cabourg, località balneare sulla costa normanna dove ancora oggi troneggia sulla lunga e scura spiaggia tipica del nord della Francia il Grand Hotel Cabourg, molto amato dallo scrittore. Cliccando su Tripadvisor possiamo vedere e prenotare – se ci piace e se ci convincono i commenti – proprio la mitica stanza 414 vista mare dove il maestro soleva alloggiare. L’Hotel Balbec immaginato dagli studenti della Scuola Nazionale di Cinema prende corpo da molti punti di vista, come l’Overlook Hotel di Stanley Kubrick in Shining (1980), attraverso un mosaico di stili diversi. La terrazza sul mare di Giuliana Pavesi ha una luce dorata al tramonto che strizza un occhio alla pittura impressionista, mentre la stanza di Marcel di Cristiana Di Giampietro è un efficace connubio tra un’alcova del rinascimento, col letto incassato nella parete, e una stanza anonima di fine ottocento di qualsiasi pensione parigina. Sempre Cristiana ci porta nell’ascensore e in uno dei corridoi dell’Hotel, e proprio in quest’ultimo abbiamo una sensazione di ebrezza, come di un ritorno in stanza dopo una lunga cena, dopo aver goduto del fresco sdraiati sulla terrazza con vista sulla spiaggia. Il ristorante elegante sulla costa di Marta Montani gioca su pieni e vuoti, sull’alternanza tra il tratto e il colore che ancora una volta restituisce il sapore della memoria e del riflesso della luce alle spiagge proustiane.

La precisione nei dettagli realistici e poetici è un tratto che accomuna i costumisti agli scenografi, tanto da rendere la loro collaborazione indissolubile, come in una sonata per pianoforte a quattro mani. Se in una mattina dei primi del Novecento ci trovassimo nelle sale dell’Hotel Balbec o in un caffè parigino di Place des Vosges, sarebbe forse Oriane de Guermantes, indaffarata negli impegni quotidiani, che incroceremmo magari urtandola sbadatamente col giornale sottobraccio. Il suo volto altero e bellissimo sarebbe proprio quello che le ha dato Silvia Romualdi, che usa il filtro del Ritratto della marchesa Luisa Casati di Giovanni Boldini, realizzato nel 1908, e colpisce dritto come un’occhiata fugace. È qui che il costumista dà una vera e propria nota di regia, dovendo gestire un doppio virtuosismo: da una parte nel restituire la verosimiglianza e la naturalezza del costume in sé che, al contrario di quello teatrale, nel cinema deve essere definito come se dovessimo toccarlo; dall’altra nell’individuare il carattere del personaggio che lo indossa, di cui deve intuire i tratti come in un primo casting. E non si tratta solo dell’espressione di un volto, ma anche della posa, o di quello che un tempo si chiamava il portamento: camminare, salire una scala, indossare una giacca, prendere in mano un flûte di champagne. Ogni attrice e attore sa bene che il gesto più semplice è quello più complesso da interpretare, rischiando di apparire inesorabilmente goffo. Ce lo ricorda Francesco Ceo, che nella sua Odette très charmante usa di nuovo Boldini come riferimento diretto, prendendo in prestito il noto Ritratto di Lady Colin Campbell della National Portrait Gallery di Londra, datato al 1894. Nessuno meglio di Boldini, d’altronde, ha saputo dare corpo alla bellezza romantica e fatua della Belle Époque, trasformando il braccio svogliatamente appoggiato sul divano di Lady Campbell in una posa elegante come una figura di danza classica; suona allora quasi come un sinistro presagio che in quegli stessi anni, nel 1907, il giovane Picasso con le Les demoiselles d’Avignon, oggi al Moma di New York, intuisca il baratro in cui sprofonderà l’Europa con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, demolendo ogni ricordo di bellezza ed eleganza borghese con i tagli deformi e audaci del cubismo nascente.

Ognuno dei bozzetti della mostra ha una sua precisa connotazione stilistica, frutto dell’assemblaggio di citazioni e di pura invenzione, dove la conoscenza della storia dell’arte, dell’architettura, della letteratura e della musica in Europa tra fine Ottocento e inizio Novecento costituisce la base imprescindibile di un progetto filmico dedicato a La Recherche, che in quel clima visse intensamente; quella stessa intensità con la quale Luchino Visconti, al quale è dedicata la mostra, preparò nei dettagli Alla ricerca del tempo perduto, probabilmente il più noto incompiuto nella storia del cinema. Ma il fascino delle grandi opere mai realizzate è sovente più forte di quelle finite: immaginare che aspetto avrebbero avuto i Prigioni di Michelangelo nella Tomba di Giulio II in San Pietro, carica le statue appena abbozzate alle Gallerie dell’Accademia di Firenze di una potenza eterna; potenza che non sarebbe probabilmente la stessa se le circostanze avessero permesso a Michelangelo, come a Visconti, di completare l’opera
.”

Quello dei giovani allievi è senz’altro un atto di coraggio affrontare per immagini l’immensa poetica proustiana: la mostra è composta da 46 bellissimi bozzetti disegnati dagli allievi di Scenografia e 20 figurini degli allievi di Costume.

16/02/2018, 17:23