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Note di regia di "Anche senza di te"


Note di regia di
Una scena di "Anche senza di te"
Anche senza di te” è una commedia sentimentale a sfondo sociale e in qualche modo rispetta tutti i canoni di questo genere, così caro alla nostra tradizione cinematografica. I temi sono l'emancipazione femminile, il nepotismo nel lavoro, la fuga all'estero dei cervelli, lo stato dell'educazione nella scuola per l'infanzia, il ruolo dell'insegnante nella nostra società. Tutte queste radici però trovano un unico catalizzatore in un grande tema o domanda fondamentale che le raccoglie tutte: in che modo noi siamo in rapporto con noi stessi? Potremo andare a vivere in un paese più efficiente, potremo essere più o meno ricchi e realizzati, ma quello che mai potrà cambiare è il modo in cui leggiamo la nostra stessa esperienza, ascoltiamo il battito del nostro cuore.
Rispondiamo agli attacchi e alle pressioni esterne partendo da un luogo di autenticità, di ascolto di noi stessi, ma se questo ascolto non lo abbiamo coltivato, e siamo quindi sempre sul punto di tradirci, non sappiamo più a chi credere, perché ogni altra voce estranea si è sostituita alla nostra, che non comprendiamo più. “Anche senza di te” è quindi anche un progetto ambizioso, perché pur restando nelle coordinate di un genere, racconta un disagio sottile e profondo, vissuto da molti di noi. Ansia, depressione, panico sono ormai parole ricorrenti nel nostro linguaggio e non rivelano solo il disagio di una società tutta proiettata all'esterno, estremamente competitiva, priva di certezze. Questi mali sono segnali della nostra estraneità a noi stessi, affiorano con frequenza straordinaria, se pensiamo ad esempio che solo in Italia, oltre due milioni di persone tra i 18 e i 45 anni di età, e per la maggior parte donne, soffrono di crisi cliniche di attacchi di panico. La nostra protagonista, Sara, che ritiene di vivere un’esistenza felice, riceve dunque dal suo corpo dei potenti segnali che le dicono che qualcosa non va, ma che lei non sa interpretare. Ognuno di noi ha vissuto nella propria esperienza dei momenti di smarrimento in cui diventiamo come degli sconosciuti per noi stessi.
L'ansia sottile si amplifica, fino a diventare panico, e lo stato emotivo di paura e batticuore impone una ricerca, un’indagine su noi stessi, sulle ragioni per cui facciamo quello che facciamo ogni giorno.
Scopriamo a volte che la ricerca ci porta alle nostre stesse radici, nel passato, nell’educazione che abbiamo ricevuto. Vediamo che accanto alle nozioni e alle competenze necessarie per sopravvivere non abbiamo ricevuto una mappa delle nostre emozioni, adeguata per dare un risposta alla domanda vitale: dare un senso alla nostra esperienza nel mondo. Sara dunque insegna, e il suo insegnamento è allo stesso tempo una via d’uscita dall'isolamento, e anche la risposta alle più profonde domande che emergono dal suo disagio.
Mentre mi occupavo di questi temi, che potevano risultare tenebrosi, è giunto il mio incontro con l’approccio Reggio Emilia di Loris Malaguzzi, il pedagogo che dopo Maria Montessori, ha rivoluzionato con il suo approccio all'infanzia, la visione di questo delicatissimo periodo della vita.
L'approccio Reggio è ormai studiato e esportato in tutto il mondo, e pur avendo radici in Italia ha trovato, proprio in patria, resistenza e lentezza nell'essere riconosciuto e autorizzato. I cento linguaggi del bambino sono l'acquisizione fondamentale di questo grande pedagogo e filosofo, che ha rivoluzionato anche il modo di pensare le aule, le materie, il rapporto tra i bambini e gli insegnanti.
Il film racconta questa piccola e cruciale rivoluzione, che incontra perplessità, ostacoli e improvvisi successi. Il bambino non è più visto come qualcuno che riceve informazioni, ma come un soggetto attivo, che ha già a disposizione i suoi linguaggi che sviluppa a modo proprio attingendo a una infinità diversa di stimoli e di esperienze che non si limitano solo alle materie di studio in aula. Le aule diventano atelier, in cui si può ballare, recitare, cucinare, giocare, e risolvere ogni tipo di problema con dei docenti che non impongono un programma, ma fanno da sponda alla proposta che arriva dal bambino stesso.
Mi è stato chiaro ad un certo punto che esisteva un legame, un filo, che collegava il malessere di Sara all’approccio che lei stessa proponeva ai bambini, e che curando loro, avrebbe curato se stessa. In questo modo, l'avventura della pedagoga, e l'avventura del personaggio in cerca di guarigione si sarebbero incontrati.
Anche senza di te” mi è sembrata una storia importante da raccontare, necessaria, diversa da ogni altra commedia con la sua atmosfera anomala che la rende unica. “Anche senza di te” parla a una parte di noi stessi, a un disagio che a volte nemmeno ammettiamo.

Francesco Bonelli