Fondazione Fare Cinema
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Note di regia di "Rosa Tempesta"


Note di regia di
Lunetta Savino in "Rosa Tempesta"
Gli amanti che passano tutta la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l’uno all’altro. E’ allora, è evidente, che l’anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio” (Platone)

…e tutto può succedere, anche a più di sessant’anni. E’ un’età in cui spesso non si parla più d’amore, non lo si affronta, lo si guarda da lontano, con un velo di malinconia. Perché non viverlo invece fino in fondo?
Da qui nasce l’idea per la storia del film, che vuole essere un viaggio divertente attraverso le ragioni dell’amore senza carta geografica, là dove i confini tra il vissuto e il presente sono talmente labili da confondersi completamente.
E’ un viaggio nella storia di una coppia di sessantenni, che vivono insieme da una vita. La morte del figlio li ha portati su strade diverse, che sembrano non incrociarsi più.
La chiave romantica è nel voler raccontare una storia d’amore lunga quarant’anni, con i suoi aspetti oscuri, segreti e profondi. Divertente è la volontà di sdrammatizzare le difficoltà e renderle leggere attraverso i gesti spesso grotteschi dei due protagonisti: la coscienza e l’incoscienza delle loro azioni, goffe e giocose, a volte paradossali. Sono anni che vanno avanti così, ma qualcosa sta per succedere…
Odio e amore continuamente invadono le loro giornate, così come luoghi e lingue parlate oltrepassano un confine. Lei è italiana, lui è sloveno. In famiglia si è deciso di parlare in italiano, però, quando le emozioni sono forti, in Boris riaffiora la sua lingua madre. Vivono a Barcola, un quartiere di Trieste. I loro amici sono italiani e sloveni, e nei vicoli più intimi di Barcola, un tempo un paese, si può respirare ancora il passato: i fantasmi si vanno dissolvendo, le due culture s'intrecciano, sconfinano, appunto.
Lo stesso vale per i confini politici che la loro generazione può ancora raccontare. Rosa era filosovietica, Boris filojugoslavo: i busti di Tito e Stalin contrapposti in camera da letto sono ormai due amici abitudinari della coppia. Ognuno al suo posto, come Rosa e Boris che non dormono neanche più insieme in quella stanza, ma che continuano a darlo a credere alla figlia Nadia e al resto del mondo. E’ una recita, tutti lo sanno, è più semplice chiudersi che affrontare il dolore.
La scelta di ambientare la storia prevalentemente nella loro casa dichiara l'intenzione di entrare a fondo nelle loro vite, divise da muri apparentemente invalicabili. Quando lei è in soggiorno, lui è in cucina, persino nel frigorifero gli spazi sono divisi. Quando però la famiglia si riunisce, le persiane vengono aperte per far entrare luce, la camera da letto torna ad essere una, nel frigo regna il disordine e Tito ritrova il suo posto sul comodino per guardare Stalin negli occhi. Per poi tornare come prima, quando tutti se ne vanno, con le persiane che si richiudono, i colori che svaniscono e un grigiore diffuso tra le mura di casa.
I sex toys offrono l'occasione di raccontare la storia da una prospettiva diversa, più giocosa, divertente. L'intenzione non è quella di essere visivamente espliciti o provocatori: l'incontro di una donna con se stessa può prevedere percorsi diversi, ma non può mai rinunciare alla conoscenza della propria anima e del proprio corpo. Così dopo l’esplorazione di una parte di sé, fino a quel momento ignorata, Rosa troverà un nuovo modo per aprirsi alla vita e al suo amore per Boris, sentimento mai sopito, se pure fortemente provato dal lutto.
Il linguaggio narrativo trae ispirazione da quella commedia romantica che, con tono leggero e senza cadute estreme, racconta cose profonde e trova nel dramma il lato positivo.
Il timbro fotografico che disegnerà il film è un gioco di contrasti. Gli ampi spazi di Trieste e del suo entroterra riempiono gli esterni di colori e sfumature, secondo il passare del tempo. Gli interni della casa di Rosa e Boris sono invece definiti, precisi, chiusi e avvolti in una strana semioscurità, sorda a qualsiasi minimo movimento.
Nell’immobilità della vita di Rosa e Boris, all’interno della casa, la macchina da presa si muove come se cercasse nell’intimo dei personaggi qualche loro piccola reazione, sbavatura, cambiamento. All’esterno invece osserva quasi immobile la vita che allegra, inseguendo i ritmi e i colori dell’andare del tempo, va avanti.

Katja Colja