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Note di regia di "La Vita Promessa"


Note di regia di
Ricky Tognazzi sul set di "La Vita Promessa"
Quando nelle mani di un regista arriva un materiale prezioso come “La vita promessa”, quattro puntate scritte dalla premiata ditta Marotta e Toscano, l’emozione è forte.
La stessa che si prova di fronte ad un grande romanzo che, raccontando il dramma privato di una famiglia, racconta anche la storia con la “esse” maiuscola, quella dei tanti nostri connazionali che, per sopravvivere alla fame, hanno abbandonato ai primi del ‘900 la loro terra e i loro affetti, per affrontare un destino difficile e sconosciuto. Molti i riferimenti cinematografici che mi tornavano alla mente, capolavori di grandi maestri del cinema, quali: “Rocco e i suoi fratelli” di Visconti, “Il cammino della speranza” di Germi, “Uno sguardo dal ponte” di Lumet, ma anche “Nuovo Mondo” di Crialese, “Lamerica” di Gianni Amelio e per alcuni aspetti anche “C’era una volta in America” di Sergio Leone, e tutto quel cinema americano che racconta la vita nei sobborghi delle grandi città, dove vivevano i nostri connazionali immigrati.
Ma l’aspetto che più mi ha colpito ed è stato determinante per accettare questa grande sfida è stato, senza dubbio, il luminoso riflesso dell’attualità, in questa storia di altri tempi, di un’epoca in cui è il nostro paese ad essere diventato, per molti popoli provenienti dall’Africa, la porta principale per quella terra promessa che oggi si chiama Europa.
È stata, infatti, un’esperienza forte leggere le sceneggiature mentre sui giornali e su tutti i media rimbalzavano le storie e i volti dei profughi eritrei, siriani, dei paesi sub-sahariani che si confondevano nella mente con quelli dei protagonisti della storia che sentivo, ora, l’urgenza di raccontare.
Gian Antonio Stella nell’Orda scrive a proposito degli italiani emigrati in America nei primi del ‘900:
…Eravamo così sporchi che ci era interdetta la sala d’aspetto di terza classe. Quando gli “albanesi” eravamo noi, ci pesavano addosso secoli di fame, ignoranza, stereotipi infamanti. Quando gli “albanesi” eravamo noi, era solo ieri.”

Un racconto corale, ricco di personaggi, ognuno legato a un diverso filo del destino. I cinque figli di Carmela, alla disperata ricerca di un riscatto, si troveranno spesso a scegliere tra una strada di legalità, intrisa di fatica e sudore, come Michele (Cristiano Caccamo) che seguirà le orme e gli ideali del padre lavorando in fabbrica e lottando per i diritti degli operai sfruttati, e il sogno americano, come il giovane Alfredo (Vittorio Magazzù) che, stimolato dall’incontro con Mister Ferri (un intenso Thomas Trabacchi), si avventurerà nel mondo, seducente ma spesso illusorio, della finanza… Ma c’è anche la scelta di Antonio (Giuseppe Spata), il figlio più ribelle di Carmela, che venderà l’anima al diavolo, incarnato nel potere criminale della Mano Nera, al fine di ottenere facili guadagni che lo condurranno irrimediabilmente su una strada lastricata di sangue, in continuità con il passato da cui inutilmente Carmela ha cercato di salvarlo.

A vegliare sui destini di questi ragazzi c’è una madre coraggiosa e arcaica, incarnata dalla bellissima e carismatica Luisa Ranieri, che ricorda, per la sua tenacia e passione di donna del sud, le grandi figure iconiche del cinema italiano, penso a Sofia Loren e Anna Magnani. È lei la vera protagonista di questa storia, una donna che attraverso il tempo e lo spazio ci racconta il percorso della figura femminile dall’inizio del secolo in un percorso arduo, fatto di umiliazioni, diritti negati, abusi sessuali, come quello che è costretta a subire da Vincenzo Spanò (Francesco Arca), suo persecutore, uomo violento che usa il potere che ha per assoggettare non solo le donne ma chiunque consideri più debole. A proteggerla da questo incubo, c’è comunque l’amore… quello ancestrale per i figli e il marito assassinato proprio da Spanò, ma anche quello tenero e inaspettato di Mister Ferri, un uomo che guarda alla modernità e che avrà la delicatezza di prenderla per mano e aiutarla senza chiedere nulla in cambio. Tre uomini, quindi, che oltre ai figli, scandiscono la
sua esistenza ma che alla fine la condurranno in un percorso di autodeterminazione verso quella modernità, alla quale ogni donna, oggi, è debitrice.

Ci tengo a ringraziare Lina Sastri, che mi ha fatto dono della sua straordinaria capacità interpretativa, per una partecipazione cui ha dato una luce abbagliante. Per la realizzazione di quest’opera mi sono circondato di grandi professionisti, in primis: Tani Canevari, autore della fotografia, che ha illuminato questa storia con atmosfere di rara eleganza, partendo da una Sicilia immersa nella luce naturale del mediterraneo, fino ai bagliori, ma anche alle ombre, della metropoli che accoglierà i nostri protagonisti.
Per far rivivere lo scenario di inizio secolo mi sono avvalso della grande esperienza di: Enzo Forletta che, attraverso un impianto scenotecnico eccezionale, ha ricostruito in teatro l’atmosfera fumosa degli “Speak Easy” e il folclore delle strade dei sobborghi di New York, dove viveva la comunità italiana, ma anche l’opulenza dei grandi alberghi delle avenue, senza tralasciare il fascino di un vecchio piroscafo carico di disperazione ma anche di speranza.
Ogni attore è riuscito “letteralmente” a entrare nei panni dei personaggi anche grazie al lavoro di ricerca e creatività svolto da Alfonsina Lettieri, preziosa e sensibile artigiana dei costumi.

A segnare la partitura di questo racconto la mano felice di un mio collaboratore storico, Lorenzo Peluso, montatore di molti dei miei ultimi film. Per caricare di suggestione musicale questo viaggio della speranza e della memoria, ho scelto il maestro Paolo Vivaldi, che con le sue musiche orchestrate e il contributo di canzoni d’epoca tra cui “Amapola”, interpretata da Rosanna Casale, in una versione dal retrogusto swing, un omaggio alle atmosfere “Morriconiane” di “C’era una volta in America”.

Un particolare ringraziamento va alla produzione, nella figura di Roberto Sessa che, con coraggio, ha creduto in questo ambizioso progetto, così come a RAI FICTION, nello specifico, alla direttrice Tinny Andreatta, al suo vice, Francesco Nardella e all’editor Filippo Rizzello. Come da tradizione la RAI ha investito le sue risorse per raccontare un importante capitolo della STORIA d’Italia, perché la memoria è da sempre l’impalcatura culturale di un paese.
Non posso non citare il grande contributo di Max Gusberti, perché è il vero custode di questo film; da tempo si era ripromesso di metterlo in scena, anche per rendere omaggio alla grande coppia di sceneggiatori ormai scomparsi. Infine ringrazio Simona Izzo, che si è occupata della revisione delle già preziose sceneggiature, e che mi ha accompagnato in questo viaggio verso la VITA PROMESSA.

Ricky Tognazzi