Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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TFF36 - L'UOMO CHE RUBO' BANKSY di Marco Proserpio


Anteprima italiana al Torino Film Festival; in sala solo due giorni l'11 e il 12 dicembre con Nexo Digital


TFF36 - L'UOMO CHE RUBO' BANKSY di Marco Proserpio
La street art ha valore anche decontestualizzata? Gli street artists possono reclamare la proprietà delle loro opere, stabilirne il destino? Prelevare un murales è un 'furto'?

Attraverso le molte risposte a queste - e altre - domande "The Man Who stole Banksy" affronta con ritmo e schiettezza una tematica che potrebbe sembrare destinata a pure disquisizioni teoriche (etiche, legali) mentre proprio da questo documentario impariamo a capire quanti risvolti concreti - e disparati - possa avere.
Partiamo dallo spunto iniziale: Marco Proserpio nel 2012 si trova nel taxi dell'imponente Walid (detto 'The Beast') che gli rivela di aver rubato un Bansky e averlo messo in vendita su eBay. Dopo un po' di ricerche emerge che effettivamente il famoso e controverso "The Donkey with the Soldier" è stato segato via da un muro della casa di Betlemme sul quale era stato dipinto da Banksy, per essere venduto.
Proserpio a questo punto parte a raggiera consultando le molte persone coinvolte nell'episodio e nei suoi risvolti politici, sociali, etici e artistici.

Senza capire quale parte faccia da contrappunto all'altra, ci troviamo dunque a seguire sia Walid e il suo racconto (in qualche momento anche squisitamente biografico) sia i ragionamenti di artisti, collezionisti, legali, street artists, politici (la sindaca di Betlemme), commercianti, cittadini. Ognuno dice la sua in un dialogo affatto cacofonico. Si affronta la polemica contro l'opera di Banksy (l'asino è un'immagine offensiva per la cultura araba), il concetto di proprietà della street art, l'impatto di quest'arte sulla cittadina di Betlemme, la preservazione dei murales a scapito del loro essere effimeri (e viceversa), e molto altro.

Al centro, comunque e sempre in qualsiasi narrazione che parli di Palestina, c'è il muro, sul quale tanti artisti internazionali hanno lasciato il loro segno per sostenere la causa palestinese (diciamo - meglio - per testimoniare la loro vicinanza). Su questo aspetto colpisce l'intervista a due giovani writers palestinesi che lanciano una sfida ai colleghi occidentali: non dipingere tanto il muro dal lato palestinese (dove la popolazione è perfettamente consapevole del problema) quanto da quello israeliano, per catturare l'attenzione di chi secondo loro dovrebbe essere sensibilizzato.

In ultimo due parole sul sonoro del film, per ricordare che la narrazione fuori campo è resa più accattivante dalla ruvida voce di Iggy Pop, e fare l'unico appunto al documentario: gli 80 minuti sono cadenzati da quattro momenti cantati (in gran parte rappati da giovani palestinesi), sui quali ci sarebbe piaciuto poter leggere i sottotitoli, per aggiungere un'altra voce a questo caleidoscopio.

27/11/2018, 08:40

Sara Galignano