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FRANCESCO AMATO - "18 regali, l'amore universale"


Tra "18 regali" e "Imma Tataranni", un documentario - e un film - su Umberto Bossi: intervista al regista torinese


FRANCESCO AMATO -
Francesco Amato
Dal 2 gennaio in sala con "18 regali", il regista Francesco Amato viene dal successo di pubblico della fiction "Imma Tataranni" e si appresta a lavorare su un film dedicato a Umberto Bossi. La nostra intervista.

Come sei arrivato a 18 regali, un film così intenso e così speciale?

Mi ci sono buttato d'stinto, senza fare calcoli. Inizialmente quando ho letto della morte di Elisa Girotto e della sua scelta di lasciare 18 regali per la figlia che non avrebbe mai conosciuto, se non per poche ore, la notizia portava un dolore che mi aveva allontanato. Il giorno dopo mi sono trovato a discuterne con la Lucky Red, con Serena Sostegni e Andrea Occhipinti, che avevano pensato di farne un film e mi hanno proposto di dirigerlo. Non me lo aspettavo, mi ha sorpreso che lo chiedessero a me, io faccio un altro mestiere, faccio la commedia.
Però ho provato subito a mettermi al lavoro: incontrare il mondo di Elisa, conoscere suo marito Alessio Vincenzotto che mi ha aperto lo scrigno dei suoi segreti è stato decisivo. Tra me e lui si è creato un rapporto molto intimo, di confronto, ci ha aiutato parecchio perché avevamo paura di tradire la testimonianza di Elisa. Aveva lasciato 18 regali ma anche messaggi, lettere scritte a pochi giorni dalla sua morte in cui era evidente la sua necessità, molto pratica, di lanciarsi verso il futuro, di pensare alla propria famiglia nonostante avesse solo qualche ora di vita da vivere.
Queste lettere sono un capolavoro di amore e di speranza, e quando ho avuto modo di leggerle ho capito che c'era un film difficile ma anche dal potenziale emotivo fortissimo. È stato difficile approcciarsi emotivamente a questa storia, mi sono fatto travolgere, non avevo altre soluzioni. Poi invece sul set ho dovuto riguadagnare una visione più oggettiva, perché gli attori hanno bisogno di non vedere un regista in difficoltà, o spaventato. A loro fondamentalmente ho chiesto una cosa sola, di non sottrarre mai le emozioni, questo è stato il mio primo compito.

Come avete lavorato sulla sceneggiatura?

Il film è ispirato alla storia di Elisa e in particolare alle lettere che ha lasciato, alla sua testimonianza, alla sua filosofia di vita. Quando ho parlato con il marito la prima volta gli ho detto che volevamo salvaguardare il messaggio di Elisa ma dovevamo tradire la loro storia, e quindi raccontare qualcosa di un po' diverso, che fosse ispirato a loro ma non esattamente identico. Quando poi lui ha letto il soggetto, mi ha chiesto di usare i loro veri nomi perché si riconosceva in quanto scritto.
In questa storia ho trovato i caratteri fondanti del melodramma. Anna ed Elisa, mamma e figlia, hanno incrociato le loro vite per poco tempo. E quindi ci è venuta l'idea di creare uno spazio temporale in cui questo incontro si realizzasse realmente, fa emergere la chiave un po' metafisica, favolistica, che accende nel film un motivo di speranza.

La scelta degli attori è stata fondamentale.

Vero, ma meno complesso che in altre occasioni. Non ho avuto troppi dubbi sull'idea di affidare il personaggio della protagonista a Vittoria Puccini, perché ha delle caratteristiche di fotogenia e di espressività che mi hanno subito fatto pensare che un melodramma italiano dovesse avere lei come protagonista. Peraltro credo che ormai Vittoria abbia una maturità di professionista, di attrice che si è sviluppata nel tempo. Lei è una mamma, inoltre, e ha avuto una vicenda personale che è evocata nel film.
Benedetta Porcaroli si è subito imposta nei primi incontri che abbiamo fatto come un talento davvero puro, anche su di lei nessun dubbio.
Con Edoardo Leo avevo un'amicizia che è nata su un aereo durante un lungo volo per Buenos Aires, eravamo entrambi ospiti di un festival e in quei giorni si è stretta un'amicizia, abbiamo capito che prima o poi avremmo lavorato insieme. È stato molto utile anche sul set, lui è regista oltre che attore, avere un compagno di lavoro così solido è servito.
Il lavoro fatto con loro è stato di accumulo emotivo, la mia indicazione era quella di non sottrarre nulla. Questo film non so se piacerà o non piacerà, ma è un film originale, che si permette di manifestare con grande energia l'emotività dei personaggi, senza mai sottrarla. È dipeso poi da me modulare l'espressione emotiva della storia e dei personaggi nei momenti giusti del racconto.

L'esperienza in tv è stata diversa da quella cinematografica?

Ti direi che sono molto simili! Per Imma Tataranni è come se avessi girato sei film! Certo, con lo stesso cast, con lo stesso gruppo di lavoro quindi rispetto al cinema è un po' diverso, sono stati “film in continuità”, ma sono stati concepiti come 6 film.
La tv permette una libertà espressiva maggiore, il lavoro è talmente massiccio che non si butta via niente. Anche se un attore ci piace molto, in un film non sempre riusciamo a trovargli spazio: qui avevo 180 ruoli, lo spazio per attori che volevo lo trovavo facilmente. La tv è una festa per un regista, un luna park. È più divertente da fare, al cinema c'è l'ossessione del linguaggio.
Certo, tra Vanessa Scalera e Barbara Ronchi, Vittoria Puccini e Benedetta Porcaroli ho girato con quattro tra le migliori attrici italiane nel giro di un anno! In mezzo ci ho messo anche un documentario su Bossi, che è una persona un po' meno carina, però...

Come si inserisce Bossi in tutto ciò?

Non so bene perché ho fatto un documentario su Bossi e non so bene perché sto scrivendo un film su Bossi... Non te lo so dire. Non avevo alcuna simpatia per Bossi quando ero un ragazzino, in quanto figlio di immigrati siciliani.
Il suo avvento però coincide con la mia adolescenza, con la prima consapevolezza politica, e andare a cercare un racconto in ciò che ti ferisce lo ritengo più interessante che andarlo a cercare in ciò che hai celebrato. Questo è un motivo.
E poi la storia di Bossi è una storia di cui esiste molta letteratura, ma non era mai stata filmata, è una grande storia, che avrebbe potuto e forse anche voluto raccontare Mario Monicelli...La storia di un gruppo di velleitari che raggiungono un potere e un consenso molto forte per poi far crollare tutto, a causa della contraddizione dei valori che li avevano resi potenti. Una grande storia, un po' shakespeariana anche, che meritava un racconto filmico.

26/12/2019, 08:30

Carlo Griseri