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Note di regia di "Il Regno"


Note di regia di
Una comunità di persone che ti accetta di diritto senza alcuno sforzo e ti erge su di un piedistallo senza che tu abbia fatto assolutamente nulla. Questo è quello che capita a Giacomo, un uomo a cui bastano quattro immagini per raccontare la sua solitudine mista alla sua assoluta mancanza di autostima. “Perché mio padre ha lasciato tutto a me?” si chiede in continuazione. Ed è da questa domanda che parte la riflessione del film: che succede ad una persona assolutamente vuota di coraggio e di autostima se diventa improvvisamente un personaggio/modello da seguire? Forse impazzisce o forse si risolve. E dove ambientare questo delicato percorso psicologico? Ovvio, tutto dentro una tenuta agricola nella periferia di Roma dove le persone sono rimaste agli usi e i costumi del 1100 D.C.
Il progetto di lungometraggio de “IL REGNO” deriva dal mio corto di diploma del Centro
Sperimentale di cinematografia. Si percepiva subito che alla vicenda serviva più respiro narrativo di quello che può dare un cortometraggio e così, presentandomi da Domenico
Procacci, gli dissi che avevo in mente un film che ampliasse quello stesso impianto narrativo.
L’assunto da cui parte la trama deriva da quella mitologia che Age, Scarpelli e Monicelli avevano nei loro lavori. Come un imberbe esordiente volevo provare a mettere nel film una piccola parte di ognuno di loro, per poi scoprire essere un procedimento sbagliato. Non solo per l’impropria ambizione di raccontare come loro, ma anche per avere una libertà personale che naturalmente mi guidasse dove l’istinto segnalava. Un po’ come Giacomo, che quella guida l’ha persa troppo presto e la deve recuperare, cresce nella società contemporanea con la convinzione di essere sbagliato per il padre e di conseguenza per il mondo intero. E cosa c’è di meglio quindi che cambiare mondo? Spostarsi in una comunità che si professa in contrasto con gli ideali e il progresso della civiltà moderna? Che potenzialmente ti accetta di diritto solo perché sei il figlio legittimo ed erede al trono? Che sei pure uomo moderno e quindi oggetto di curiosità morbosa da parte di giovani ed avvenenti donzelle che fuori da lì non ti noterebbero nemmeno di striscio?
Assolutamente nulla pare, ma i doveri di un re non sono quelli di un comune autista di autobus e la strada per comprendere che bisogna bastarsi da soli è molto lunga per Giacomo. Questo è il senso del film a cui sono più legato, e lo racconto attraverso un personaggio che non è più abituato ad avere l’affetto degli altri, e anche quando questo gli è dovuto di diritto si trasforma in una finta certezza, e la certezza, sia finta che ricevi, sia vera che possiedi, è la malattia dei re.

Francesco Fanuele