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CASE HISTORY - Storie di legami nel cinema e nelle serie tv


Famiglie tradizionali, allargate o addirittura inventate. Unioni che sono amicizie, quasi fratellanze, percorsi e sono spesso al centro di grandi sceneggiature cinematografiche che hanno l’obiettivo di raccontarle e di arricchire le vite non soltanto dei protagonisti, ma anche di chi è davanti lo schermo. Questo articolo è un’anteprima estratta da L’altro capitale, il sesto numero della rivista CIVIC Quaderni di Fondazione Italia Sociale disponibile al download gratuito


CASE HISTORY - Storie di legami nel cinema e nelle serie tv
Legami al cinema - Illustazione di Chiara Zarmati
“Aumentano le relazioni individuali” si trova, più o meno, in qualsiasi testo contemporaneo di sociologia. Sono aumentate perché doveva accadere per forza, considerando che molto tempo prima che gli eventi dell’ultimo anno si abbattessero sulle nostre vite, da anni ci siamo trasformati in piccoli granelli di singolarità, egocentrismo, chiusi in noi stessi e sui nostri device, ripiegati sugli schermi.

Eppure, proprio quando abbiamo iniziato a chiuderci non solo figurativamente, abbiamo avvertito la necessità di quel capitale sociale che stavamo perdendo: oggi, ancora in crisi pandemica, i legami sociali sono l’unica cosa in grado di salvarci o di alleviare il dolore. Si tratta di un’esigenza che ci accompagna da sempre nei momenti peggiori, e che il cinema, in quanto cassa di risonanza per le trasformazioni della società da cui è espresso, nel suo sviluppo storico ha accompagnato e rappresentato, come in "Martin Eden" di Pietro Marcello, in cui tra le tante parabole descritte c’è quella sociale: dall’umile provenienza familiare del protagonista all’universo borghese grazie all’istruzione ma soprattutto ai rapporti che Martin intesse con nuove conoscenze.

Non solo, anche il supporto e il paracadute di trovare una casa e un riparo, quasi una famiglia, grazie a un viaggio in treno. Tra chi proviene dallo stesso ceto ci si intende, ci si aiuta, dopotutto. Un tema che soprattutto, ma in sottrazione, si trova in Her, che analizza e scompone il bisogno di socialità specchio della nostra epoca (anche se nel film di Spike Jonze è quella futura, ma poco ci manca), in cui i contatti virtuali talvolta sporadici, talvolta continuativi diventano la massima relazione possibile, come l’unica scintilla di socialità comunque insufficiente per alimentarci.

È il “cinema del legame”, che diventa un metagenere in grado di contenere elementi prelevati da tutti gli altri generi, un meta-set capace di ospitare drammi e commedie, thriller e horror, western e musical, romance e dramma sociale, fantascienza e film d’introspezione psicologica.

Ma ci sono film e serie tv addirittura ancora più specifici, su quelle relazioni che funzionano da “paracadute”. Come Tutto su mia madre, di Pedro Almodóvar: un film sulla ricerca di una comunità degli affetti alternativa e necessaria in un momento di dolore, così come nella serie "Everything Sucks", su Netflix, in cui la complessità dipende dall’adolescenza, o nella spassosissima Dead to me.

"C’eravamo tanto amati", titolo e affermazione. Erano gli anni della Resistenza. Nicola, Gianni e Antonio si trovano sulle montagne innevate insieme a un gruppo di partigiani. Gianni aveva appena occultato un ordigno sotto un cumulo di neve sulla strada; una carovana di convogli militari avanzava e, al momento opportuno, Nicola faceva detonare l’ordigno. Immediatamente dopo lo scoppio, il montaggio nel film di Ettore Scola staccava su alcune immagini, «scoppiò il dopoguerra»: le strade dei tre amici-partigiani si dividono. Si tratta forse di uno dei film italiani, "C’eravamo tanto amati", che più di tutti ha raccontato il percorso, non nello spazio, bensì lungo un itinerario in cui a scorrere sono le pagine della vita, di un capitale umano e sociale che è stato appiglio e sicurezza in un momento in cui di certo non c’era niente. Un viaggio nel tempo e nella storia d’Italia lungo trent’anni, attraverso il racconto di un legame che ha permesso alle parti di resistere, appunto.

E se allo stesso filone appartiene anche "La meglio gioventù" di Marco Tullio Giordana, in cui la prospettiva da quotidiana si fa storica, più intima e familiare è la dimensione in cui sono stati raccontati i legami nelle "Fate ignoranti" dove i legami sociali hanno permesso di sopravvivere a un’assenza, o nel più recente "Quasi Amici", sul caso che ci fa incontrare e andare avanti, così come nel premio Oscar "La forma dell’acqua" di Guillermo del Toro, o nell’indiano "Lunchbox", presentato a Cannes nel 2013, in cui i due protagonisti si conoscono perché vittime di un errore (il pranzo che una donna prepara per il consorte finisce nel piatto di un vedovo irascibile e prossimo alla pensione). Ne nascerà un rapporto epistolare fatto di brevi ma intensi viavai di bigliettini, riflessioni, consigli.

Il capitale umano, sociale, che serve a sorreggere un’intera comunità (si pensi anche ai cartoni come I Puffi o a Ralph Spaccatutto), eppure che spesso si disintegra come succede in "Favolacce", con cui i fratelli D’Innocenzo hanno fotografato con pessimismo quasi lirico la crisi della classe media del nostro Paese sfatando il mito della provincia buona e incorrotta, o in "Lazzaro Felice" di Alice Rohrwacher, in cui il mondo rurale incontaminato, con le sue persone di sentimenti semplici e puri nonostante un lavoro che ammazza di fatica ma dà forza all’animo si sgretola sotto al capitalismo della grande città. Ne "Il capitale umano" di Paolo Virzì, dedicato alla “Brianza dei padroni”, tutti sono abituati a vincere, primeggiare e schiacciare il prossimo, come ha mostrato anche Mad Men nelle sue sette stagioni con il filtro della New York degli anni Sessanta.

Ma il cinema che racconta il legami della società è anche quello degli estranei che entrano nella nostra vita con la forza, magari, di aiutarci a sciogliere una situazione. Accade in Lost in Translation, dove il traffico di Tokyo fa da controparte alla conoscenza tra Charlotte e Bob, che risolleva entrambi anche se per un periodo limitato di tempo. Fondamentale per il tema è poi la storia dell’inflessibile agente Gerd Wiesler, protagonista de "Le Vite degli altri". Cresciuto nella Stasi con il solo obiettivo di scovare possibili traditori, addestrato ad agire come una macchina e a pensare seguendo unicamente le regole del regime, una volta ricevuto l’incarico di violare la privacy dei Dreyman per incastrare l’uomo, conoscerà veramente la coppia, costruendo un legame da remoto che aiuterà loro e persino sé stesso. Così come accade nel meraviglioso Sound of Metal, uscito quest’anno su Amazon Prime e candidato agli Oscar 2021, che sembra quasi parlare di noi. Con il protagonista che, divenuto sordo, si ritrova isolato a vivere una vita diversa da quella vissuta fino a quel momento. Lo salverà proprio la nuova comunità trovata nel più profondo momento di disperazione, grazie alla quale riuscirà a orientarsi nel nuovo capitolo della sua esistenza. A volta basta solo un incontro per salvarci la vita.


Corinne Corci

30/07/2021, 15:20