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Note di regia di "Venezia Altrove"


Note di regia di
"Alle volte mi basta uno scorcio che s'apre nel bel mezzo d'un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s'incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta"
(I. Calvino, "Le città invisibili")

Perché il viaggio è iniziato È molto raro per un veneziano viaggiare senza trovare ogni giorno la propria città altrove. Sarà un quadro in una stanza d'hotel, il nome di una marca di biscotti o di un limoncello, un souvenir che ha attraversato migliaia di chilometri, un televisore sintonizzato su qualche pubblicità che la usa come set, un omaggio toponomastico e via dicendo. Nel frattempo, la scomparsa progressiva di Venezia come realtà urbana viva (spopolamento rapidissimo, monoeconomia turistica), si risolve in due modi: una dichiarazione di morte della stessa o la ricerca di lei altrove. Abbattuti i suoi confini d'acqua salsa, si può credere di trovare Venezia nelle molte evocazioni che ne vengono fatte. Ogni evocazione, ha in sé, potenzialmente, la possibilità di rifondare una città collettiva.
Questo documentario è la scoperta di come le proprie radici non siano semplicemente lontane, bensì decisamente altrove.
Una riflessione sull’identità e sull’immaginazione Accade qualche volta di vedere delle mappe in cui, a parte qualche accenno geografico, il territorio è rappresentato attraverso disegni naïf di alcuni suoi simboli: monumenti arcinoti, cibi arcimangiati, personaggi storici arcifamosi. Nell'urgenza di creare una certa identità comunitaria, l'Europa sembra impegnata in un'operazione simile, nella quale icone immediatamente riconoscibili vengono quasi scambiate, e proposte, per rappresentazioni realistiche e complete del continente. Tra queste icone, Venezia.
Rischio implicito di questa proposta è lo svuotamento di senso di chi è premiato a simbolo di un territorio. Questo viaggio vuole essere una possibilità iconoclasta, alla ricerca di ridisegnare Venezia a prescindere da Piazza San Marco, dal Ponte di Rialto e dalla gondola nera che scivola nei canali verdi.
Ho voluto ritrovare la Venezia delle origini, forse, quella nata da un atto volitivo dell’immaginazione.
Chi ho incontrato. Ho desiderato, lungo tutto questo mio viaggio, d’incontrare persone che mi dissuadessero dalla mia idea labile che esistesse una Venezia e poi alcune sue copie, alcune sue evocazioni. Che mi dicessero questa è Venezia: questo bar di periferia, questo albergo, questo incrocio di strade a tremila chilometri dalla laguna”. Che mi dicessero “siamo concittadini, è ovvio”. Una visione antistorica, visionaria e sincera. Così è stato.

Elia Romanelli