Fondazione Fare Cinema
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Note di produzione di "L'Angelo dei Muri"


Note di produzione di
Quando, durante un pranzo con Lorenzo Bianchini, abbiamo sentito per la prima volta la storia di "L'angelo dei muri" siamo stati immediatamente attratti dall'immagine di un uomo che si rinchiude in uno spazio confinato e claustrofobico all'interno della propria casa. Un uomo che volontariamente riduce la propria vita a mera sopravvivenza al punto che tutto ciò che accade diventa per lui fonte di ossessione. Ci è sembrata un'idea semplice quanto potente.
"L'angelo dei muri" è la storia di una persona che è stata incapace di affrontare le conseguenze degli eventi drammatici che hanno segnato la sua vita. La storia investiga con sottigliezza le conseguenze psicologiche di una tale condizione emotiva, di un conflitto interiore fra la nostalgia per ciò che ha perduto e un senso di colpa con cui non riesce a venire a patti, e lo fa attraverso il linguaggio del cinema di genere. Pietro, nel suo estremo tentativo di sopravvivenza, riduce se stesso a mera ombra e sussurro. Bloccato nel suo passato, per Pietro solo i fantasmi di un'esistenza precedente sembrano avere sostanza mentre il suo presente è percepito come fonte di paura.
Ed è proprio la paura l’emozione che Bianchini sa evocare meglio. Nei suoi film precedenti, opere a basso budget e senza supporto produttivo, ha dimostrato una capacità istintiva di evocare la tensione, l'attesa di qualcosa di nefasto, di creare quelle atmosfere cariche di angoscia e solitudine che sono la sua cifra distintiva.
Grazie all'adozione della prospettiva del protagonista, L’angelo dei muri condurrà gli spettatori a provare un senso di crescente ansietà, a provare un senso di progressiva claustrofobia e paura, nel sentirsi vulnerabili e braccati dentro la propria casa. Quell’antro magico dove i dolori e i traumi del passato, a volte, riemergono come antichi fantasmi dalle profondità dell’inconscio.