Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Note di regia di "Non Mi Lasciare"


Note di regia di
Il regista deve avere coraggio […]. Se l’immagine non si sporca con la realtà, se non vi si
oppone, è chiaro che non resta
.” (Marco Bellocchio)

Raccontare è un privilegio.
Un privilegio perché ti permette di elaborare, studiare e metabolizzare storie esistenti, ma nascoste, di cui non ne scopriresti mai l’esistenza se qualcuno non ti chiedesse di farlo.
Raccontare è una responsabilità.
Una responsabilità perché, talvolta, come in questo caso, nel caso di Non mi lasciare, quando si dà luce a un mondo nascosto, profondo e all’apparenza oscuro, bisogna avere
l’ardire di sporcarsi le mani. Perché solo opponendo l’immagine alla realtà, vince la luce.
Con coraggio.
Perché è solo con il coraggio che si porta in superficie ciò che è sempre stato nascosto nel buio.
Nell’opposto al consueto ho provato a raccontare questa storia.
Laddove nell’immaginario collettivo c’era oscurità, ho tentato di portare il chiarore della ragione.
Laddove c’era il sole, ho portato lo sguardo asciutto e austero dell’ombra, per cercare il significato nascosto del passato.
Che fa parte di noi ed è il fulcro vero di questo racconto.
Se poi questo passato è comune e investe ogni personaggio della nostra narrazione, ecco delinearsi la nostra storia.
Investe Elena, poliziotta tutta d'un pezzo, che per seguire un’indagine alla quale tiene molto, è costretta a confrontarsi costantemente con la sua storia personale. Fatta di luci e ombre.
Investe Daniele e Giulia, anche loro poliziotti, ma prima di tutto famiglia da copertina, cristallizzata da due bambini stupendi e da una terza, Luce, in arrivo che, ritrovando Elena, dopo vent’anni, si trova costretta a rivedere i propri obiettivi.
Investe i bambini, tra cui il nostro piccolo Angelo, che, se non avesse avuto un passato tortuoso, forse non si troverebbe in lotta con un mondo a lui oscuro.
Investe e ha determinato il percorso degli appartenenti alla Rete, che se avessero avuto un destino differente forse, oggi, non sarebbero i nostri antagonisti e non sarebbero mai stati il doloroso filo conduttore di questa storia.
Filo rosso che porta al dark web, la parte più profonda dell’icerberg-internet che, oltre a racchiudere i nostri segreti, racchiude una realtà oscura e profonda in grado di inghiottire il senso della vita. E la vita stessa. Come quella di Gilberto che darà, nel dolore, inizio alla storia: una storia di speranza.
E coraggio.

La grande fortuna che ho avuto nell’affrontare questa avventura è stata quella di essere affiancato da veri fuoriclasse del mondo attoriale, che hanno dato forma, anima e cuore a personaggi complessi, a tratti impossibili, con la grazia con cui si sfiora, si accarezza, si sorride. In punta di fioretto hanno danzato sui fili del racconto, aggiungendovi colore, estro e profondità. Compagni generosi che mi hanno regalato una serie unica, inattesa, speciale. Ognuno di loro, nella mia visione, incarna un archetipo del nostro carattere, della nostra vita, un aspetto della nostra personalità, talvolta nascosto, talvolta esplicito che però ci definisce e che può aiutare lo spettatore a empatizzare con la nostra storia.

La ricchezza di una serie, oggi, è quella di non essere circoscrivibile a un unico genere. Come un capitano coraggioso, con l’ausilio di un equipaggio esperto e prezioso, ho tentato di affrontare le acque dei generi senza mai approdare ad alcun lido, senza mai farmi tentare da facili semplificazioni. Così, ho toccato le spiagge dell’action, i fiordi del thriller, i moli sicuri dell’emozione, le acque alte del mondo psicologico, ma sempre pronto a riportare la prua verso l’obiettivo primo del mio viaggio, del nostro viaggio: la speranza per il futuro che, nonostante tutto, non deve mai essere una minaccia, ma un’opportunità. Perché il genere è uno strumento della nostra orchestra.

Venezia, Polesine, Milano, Roma: non sono i classici sfondi di una storia.
Sono veri e propri personaggi che hanno cullato il racconto, tenendolo in braccio, avvolgendolo con le proprie, specifiche peculiarità, con la loro materia, con la loro carica di vita. Ognuna diversa.
Venezia, fatta di legno, ponti e acqua. Di mondi misteriosi che si celano tra calli, palazzi e campi. Ma anche di luce che riverbera sull’acqua e negli occhi innamorati di chi la vive.
Sicuramente è la vera regina di questa serie. Nell’approcciarmi a lei ho tentato di andare oltre, di raccontare realtà nascoste che mi hanno sempre affascinato ma che forse non hanno mai trovato lo spazio giusto per esprimersi. Ho tentato di disegnarla tutta, al meglio possibile, vivendo ogni sestiere e respirando la sua aria per oltre un mese, da solo, prima della serie, perdendomi in essa. E perdendo in lei parte del mio cuore. Averla raccontata deserta e solitaria, durante il periodo di lockdown, è stato un grande onore e una grande responsabilità. Un documento importante di un periodo che, spero, non torni mai più, ma che ha regalato al racconto un’ambientazione unica.
Il Polesine, un territorio selvaggio che nell’immutabilità ha creato la sua fortuna. Un luogo dove fauna e flora convivono armoniosamente nascondendo all’occhio il tocco umano.
Anche quello più feroce, quello di un sequestro.
Milano, tra vetro, acciaio e led. Il freddo che nasconde, nel suo incedere costante, nella sua capacità di essere metropoli, universale, le debolezze e le fragilità di chi si rifugia tra le sue braccia per sparire, fisicamente ed emotivamente.
Roma, con i suoi marmi, la sua monumentalità, la sua brama di potere. Centro nevralgico della vita di Elena, della nostra indagine, della nostra storia, anche se da lontano. Specchio nel quale si riflettono i dubbi, le angosce e il passato dei nostri personaggi.
Città italiane che sono colori preziosi che abbiamo il dovere di vivificare e di mostrare al nostro pubblico.

Nel disegnare questa storia sono stato aiutato da Giuseppe Maio, il direttore della fotografia della serie, che ha abbracciato le mie suggestioni e mi ha permesso di evolverle, attraverso un mezzo che maneggia con grande maestria.
Insieme, abbiamo creato una palette di colori, ci siamo costruiti dei dogmi sulle città, sui personaggi e sullo stile stesso della serie.
Ce li siamo costruiti per poi infrangerli, modificarli e distruggerli in una continua tensione creativa che ha raggiunto traguardi all’inizio inaspettati.
Abbiamo scelto ottiche particolari, usato ottiche diopter, inseguito luci a cavallo, controluce, non ci siamo mai fermati finché tutto quello che entrava nel fotogramma non era parte di noi e di questa storia. Fino a quando non lo sentivamo nostro. Senza riserve.

Citando film, serie, fotografi, tutto quello che nel nostro percorso professionale ci aveva colpito e che aveva un’attinenza artistica con il nostro racconto, è entrato, talvolta con prepotenza, talvolta in punta di piedi, nel calderone della nostra storia.
Girare questa serie per me è stato un onore.
Non solo perché è la prima serie italiana girata a Venezia, non solo perché ho avuto la possibilità di collaborare con grandissimi professionisti, non solo perché mi ha permesso di scoprire e portare alla luce dei mondi che necessitavano di essere raccontati, girare questa serie per me è stato un onore perché mi è stata data la possibilità di non fermarmi, con il corpo, con la testa, con la creatività, in un periodo in cui il mondo si è dovuto prendere una pausa. Forzata.
Un onore che spero di aver assolto al meglio.
Con coraggio.

Ciro Visco