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Note di regia di "A Muso Duro"


Note di regia di
La storia del Dott. Maglio, dei suoi ragazzi e della nascita di quelli che sono stati considerati i primi Giochi paralimpici (1960) nell’Italia del boom economico mi ha immediatamente catturato. L’Italia era una nazione che stava tentando di rimettersi in piedi dopo la guerra; da una parte un mondo rurale e dall’altro la modernità che avanzava: palazzi, macchine e tanto altro. In quella società in piena trasformazione i disabili erano visti come persone da nascondere, un peso per le famiglie e per la società. La maggior parte di loro era considerata come rotelle di un ingranaggio nato male o che si era rotto durante il percorso e per quei “poveretti”, come spesso venivano chiamati, c’era ben poco da fare se non trattarli in cronicari e lasciare che il loro destino si compisse nel giro di poco. L’idea di Maglio, all’epoca fuori dagli schemi, di recuperare attraverso lo sport queste persone, ridando loro fiducia e rendendole un esempio da seguire per poi reinserirle nella società, nasce dalla sua convinzione che la vita non poteva finire a causa di una malattia o di una menomazione. Di questo trova riscontro nello studio e nella successiva amicizia con il Prof. Ludwig Guttmann, neurologo tedesco, scampato ai campi di sterminio nazisti e approdato in Gran Bretagna dove comincia a lavorare sul recupero dei soldati proprio attraverso lo sport. Maglio amplia questi primi studi, si rivolge non solo al mondo dei reduci, ma al recupero di tutti i disabili mielolesi. Sostenuto dall’INAIL, apre un centro riabilitativo e, dopo aver liberato dalle gabbie dei gessi i suoi pazienti, li allena lui stesso insieme ad altri insegnanti. Ma non si ferma lì: come un ingegnere inventa macchine per il recupero motorio e per rompere le barriere che ne impedivano il reinserimento. Nascono così bus con pedane idrauliche e barche attrezzate. Ma Maglio aveva la capacità di vedere i suoi pazienti nel loro insieme, quindi si fa coadiuvare anche da psicologi e sessuologi. Ma per il completo reinserimento bisognava cambiare la mentalità vigente, ribaltare l’idea che fossero persone da compatire ed emarginare per considerarle, invece, persone da ammirare, anzi straordinarie, con tutti i diritti ed i doveri di cittadini “normodotati”. È qui che nasce l’idea di agganciare ai Giochi Olimpici degli altri Giochi, quelli di Stoke Mandeville organizzati da Guttmann, per farli diventare delle Paralimpiadi, grazie anche al supporto dell’Inail. Sintetizzata così sembra che sia stata un’impresa facile, ma non lo è stata affatto. Maglio era bloccato, aveva perso fiducia nella medicina a causa della perdita di un figlio. Si è dovuto scontrare con i ragazzi che avevano perso le speranze di vita e con le istituzioni e la mentalità chiusa della società. Con Flavio ci siamo trovati davanti un personaggio complesso: di grande umanità ma ruvida, cosciente della sua competenza, diretto, chiuso sentimentalmente, capace di vedere “oltre” e di grandi slanci. Flavio conosceva bene quel mondo perché suo padre era medico, collaborava con l’Istituto Santa Lucia per il recupero e il reinserimento dei disabili attraverso lo sport. Da piccolo aveva anche accompagnato la nazionale paralimpica ai Giochi che ebbero luogo in Canada. Quindi Flavio aveva già quell’attenzione e sensibilità in comune con il nostro personaggio per cui bisognava andare a ricercare gli altri lati e le sfumature della personalità del nostro dottor Maglio. È stato un bel percorso per entrambi, Flavio ha anche dovuto forzarsi per raggiungere le caratteristiche più lontane dalla sua umanità, ma credo che siamo riusciti a portare in scena quello che era lo spirito del protagonista di questa storia straordinaria. Il cast di ragazzi con la loro energia ci ha fatto divertire sul set e ha portato un’aria leggera in una storia che apparentemente potrebbe sembrare di tinte più drammatiche. Ognuno di loro ha dato tanto e ci siamo divertiti a costruire personaggi tutti diversi tra di loro. È stato incredibile come siano riusciti a imparare le varie discipline e a far loro la gestualità dei disabili. Questo grazie anche alla collaborazione che abbiamo avuto con il Santa Lucia e con le varie federazioni paralimpiche. I piccoli ruoli sono stati tutti ricoperti da ragazzi disabili, esperti nelle varie discipline sportive, e lo scambio e l’amicizia nati con il nostro gruppo di attori è stato importantissimo per il realismo della messa in scena. Era diventato un vero gruppo e ognuno dava consigli all’altro sia sul lato recitativo che sull’esperienza sportiva o vissuta. A completare il quadro la presenza di Claudia Vismara e Paola Minaccioni. Claudia aveva l’anima giusta per interpretare Stella. Combattiva, idealista ma anche dolce, con un viso e un portamento che erano giusti per quegli anni. Paola aveva l’ironia e la profondità per interpretare Tiziana, esperta caposala capace di confrontarsi con i pazienti, ma anche di affrontare nei momenti difficili e di contrasto, il nostro Maglio. Massimo Wertmüller è una sorta di padre putativo del nostro protagonista. Devo dire che lo ha fatto portando con sé una sua ironia e leggerezza che aiutano la storia. Purtroppo non posso citare tutti, ma devo dire che sono rimasto veramente contento di tutte le interpretazioni. Per ciò che riguarda lo stile abbiamo cercato di essere sobri per non cadere nel rischio della retorica visto l’argomento drammatico che stavamo trattando. Scenografia e costumi hanno reso benissimo l’idea dell’epoca grazie a un grande lavoro di ricostruzione basato su tante ricerche. La fotografia: volevamo riprodurre atmosfere vere ma con libertà, che aiutassero lo spettatore ad entrare nelle situazioni e a viverle in pieno. Parlo per esempio dell’entrata della luce nelle camerate. È il ritorno alla vita ed è e deve essere abbagliante come un’emozione che ti travolge. E così anche per altre situazioni drammatiche dove l’atmosfera fotografica era importante. La macchina da presa è stata sempre al servizio della storia mai alla ricerca di qualcosa che ci facesse percepire l’artificio. Strano è stato pensare la messa in scena con le limitazioni delle sedie a rotelle. Non parlo solo degli spazi e delle difficoltà di movimento ma anche di un semplice abbraccio. Infine sono contento che una storia così importante abbia visto la luce e spero che siamo stati capaci di raccontarla in tutte le sue sfaccettature umane e sociali. Ringrazio Maria Stella Calà Maglio, Rai, CONI, CIP, INAIL, Fondazione Santa Lucia e tanti altri senza i quali questa bella avventura non sarebbe stata possibile.

Marco Pontecorvo