Fondazione Fare Cinema
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Note di regia di "Cinque Stanze"


Note di regia di
Siamo andati alla ricerca di avventure perché i nostri cuori non sapevano più inventarle.”
Re Artù

Il senso di questo film non è rendere visibile l’invisibile, ma rendere visibile il visibile. Uno dei tanti quotidiani che affrontiamo tutti i giorni. Pregno di tanti sentimenti, d’incapacità e desideri mancati. La sua forma, la struttura che mette in campo è la chiave della narrazione filmica. Il tempo disintegrato, lo spazio che definisce le azioni, l’immaginario dei personaggi è analizzato e decifrato.
Un cinema che non impone nulla, che cerca di suggerire le cose che narra, per vederle accadere. Svelare un dialogo a più livelli, con gli attori, con la situazione, con la gente che si incontra. Si tratta in definitiva di cercare di realizzare un’idea di cinema un po’ più esigente, più approfondita, anche se dolente. Accompagnare lo spettatore là dove, forse, non sarebbe mai andato.
Cinque stanze non è un film sul dolore ma sulla caduta, sulla difficoltà di alzarsi.
C’entra il dolore sì, ma anche la costanza, il coraggio, la forza, il desiderio. Non tutti ce l’hanno queste qualità, e così si cade, cercando di non farsi troppo male.
Lo sguardo che il film pone sui personaggi è affettuoso e mai irruento. Costruisce una sorta di geografia dell’anima di questi tre personaggi, legati a un destino comune: quello di vivere.
Desidero raccontare la storia di K, di Lara e di Silvia in questo momento drammatico della loro vita in modo leggero, lasciando inalterato il loro sguardo, arricchendo i personaggi con quella complicità e naturalezza che li fanno leggeri anche se dolenti. K è un uomo senza qualità, che vive alla giornata, incapace di ormai di vedere e di sentire. Lara è una donna affascinante ma perduta, ormai svuotata di quella vita a cui ha dato tutto. Silvia è una donna determinata, sfrontata, decisa, intraprendente, selvaggia ma soprattutto sola.
Ogni stanza raccontata, contiene a narra uno o più personaggi della vicenda.
Definisce il luogo e in qualche modo ne determina il comportamento. Ciò che accade, trova il suo significato proprio nella stanza dove è avvenuto.
Sono ovviamente riferimenti simbolici, spazi mentali, luoghi reali nella forma, ma immaginari nel vissuto dei personaggi. Soprattutto per la stanza legata agli esterni, l’unica non ambientata in un interno. Le stanze così diventano parte integrante della vita dei personaggi e ciò che sembra a noi enigmatico o magari incongruente, non lo è per loro e per la loro vita.
In Cinque stanze cerco una forma "musicale" fatta di tensioni e di corrispondenze che si sviluppano nel tempo. Una certa circolarità senza un apparente baricentro, senza un vero protagonista, con tanti punti di vista sullo stesso accadimento. Cerco di dire agli spettatori che nella vita tutto è confuso, che è giusto avere punti di vista diversi su ciò che ci accade. Cerco di far uscire da ogni stanza raccontata un vissuto che sovente genera conclusioni contraddittorie, proprio come nella realtà di tutti i giorni.

Bruno Bigoni