FAMILIA è un film che prende forma nel tempo, del tutto inaspettatamente. Era circa la seconda metà del 2017 quando, in occasione dell'uscita del mio libro Non sarà sempre così, partecipavo alle interviste di programmi TV e giornali interessati alla mia storia. Per me era moralmente importante esserci e non certo per cercare visibilità personale, ma perché non ho mai accettato il tentativo della Giustizia di fare di me un capro espiatorio: sono stato costretto a commettere un reato così grave per difendere me e i miei familiari da nostro padre. Non l’ho scelto io. Era importante per me che le persone conoscessero la mia storia attraverso le mie parole e quelle scritte nel mio libro, e non attraverso la libera interpretazione di un singolo giudice, affinché ognuno potesse avere tutti gli elementi per trarre le proprie conclusioni e solo allora giudicarmi per ciò che è stato, nella sua interezza e trasparenza, qualora fosse stato necessario.
Mi convinsi poi del potenziale benefico che avrebbe avuto un film sulla mia storia. In particolare, la possibilità di trasformare in immagini la mia vita e le parole che cercavo di trasmettere al pubblico in quel periodo sarebbero state più efficaci e immediate per instaurare quell’empatia e quell’umana comprensione che cercavo di ottenere e che non avevo ottenuto in tribunale.
Dopo qualche anno arrivò l’interesse di Medusa Film con il regista Francesco Costabile. Immediatamente capii che sarebbe stata la persona giusta per raccontare la mia storia con le immagini, per l’empatia, il rispetto, e la delicatezza dimostrata sin dalle prime fasi di lavoro assieme.
FAMILIA è l’ago della bilancia che si riequilibra, che ristabilisce l’ordine delle cose e restituisce dignità e giustizia.
Quando la possibilità di trasformare la mia storia in un film stava diventando realtà, la mia unica aspirazione era che lo spettatore potesse vedere il mio vissuto attraverso i propri occhi e riuscisse a immedesimarsi in esso. Costabile è andato oltre.
FAMILIA è un film di due ore che tiene lo spettatore “attaccato alla poltrona” con gli occhi sullo schermo fin dal primo secondo, quando dei suoni anticipano delle immagini che ancora devono arrivare. Seppur con qualche libera inflessione rispetto alla storia originale, lo spettatore vive – letteralmente - l’esperienza della tensione e della paura costante e crescente che ha accompagnato negli anni la mia vita, quella di mio fratello e di nostra madre, mostrando una successione continua di episodi che portano alle scene finali e che lasciano lo spettatore silente, a guardare nel vuoto durante i titoli di coda.
Luigi Celeste