Nel proseguire la mia ricerca sul significato della vita e sulla continua ricerca della libertà, ho scelto il Santa Maria della Pietà come luogo simbolico e reale in cui immergermi per raccontare un’esperienza umana e sociale di trent’anni fa, ancora profondamente attuale. Con questo film non intendo solo narrare le vicende dei pazienti che, grazie al “Progetto Giuseppina”, hanno superato i confini fisici e mentali del manicomio, ma soprattutto dare voce a coloro che hanno avuto il coraggio e la responsabilità di applicare pienamente la legge Basaglia. Voglio rendere omaggio a chi ha restituito dignità a esseri umani a cui era stata negata, interrogandomi su cosa significhi davvero “diversità” e “normalità”.
Sono affascinato dal concetto di follia come “condizione umana”, secondo la visione di Franco Basaglia. Il confine tra ciò che viene considerato sano e ciò che è etichettato come malato offre uno spazio ideale per indagare i desideri e le paure più profonde che animano gli esseri umani. Ho voluto raccontare un’esperienza che va oltre l’elettroshock e le “violenze istituzionali” del passato. Da un lato, c’è un "dentro" e un "fuori": il mondo chiuso e claustrofobico degli spazi del Santa Maria della Pietà, che richiama la prigionia; e il mondo aperto, naturale, che rappresenta il desiderio di libertà vissuto da alcuni pazienti grazie al “Progetto Giuseppina”. Al contempo, ho scelto di mettere in discussione il concetto di libertà e sicurezza, attraverso il monologo dell’attore che dà voce a quei soggetti che oggi detengono il controllo sulla definizione di “salute”. Ho così scelto di creare visivamente un “dialogo” tra due mondi, contrapponendo alla narrazione del documentario un inserto di fiction con l’obiettivo di attualizzare la tematica sulla salute e al tempo stesso far emergere il conflitto tra un sistema che tenta di contenere e controllare e un progetto che cerca di emancipare e liberare.
Le immagini di repertorio del AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico) mi hanno permesso di sostenere la narrazione con testimonianze visive fortemente emotive, riuscendo così a connettere il presente con il passato in modo visivamente potente. L’attore ci permette di interrogarci sul nostro presente: un’epoca in cui le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, stanno ridefinendo i confini tra giusto e sbagliato, tra ciò che è normale e ciò che è diverso. Viviamo immersi in una realtà dove i servizi digitali ci semplificano la vita, ma quali sono i costi umani e sociali di questa nuova dipendenza tecnologica?
Con questo film, ho voluto intrecciare una narrazione intima e introspettiva, capace di aprirsi a una critica sociale più ampia. Il Santa Maria della Pietà è solo il punto di partenza per una riflessione che vuole spingersi oltre, per indagare il modo in cui le nostre società contemporanee stanno ridefinendo la libertà, la diversità e la normalità.