Il 3 novembre,
Cose che accadono sulla terra, prodotto e distribuito da Lazy Film, inaugura il concorso italiano del Festival dei Popoli di Firenze, e il 15 novembre fa il suo debutto internazionale al Festival IDFA di Amsterdam. Il documentario, dopo aver toccato due degli appuntamenti più prestigiosi per il genere, prosegue il tour nelle sale cinematografiche italiane, a partire dal 5 novembre.
Michele Cinque, regista del pluripremiato Iuventa, co-sceneggiatore e produttore creativo del lungometraggio di Netflix, attualmente in lavorazione, ispirato alla storia dell’ONG tedesca Jugend Rettet, torna a dirigere un documentario per il cinema su un altro tema urgente: il rapporto tra uomo e natura ai tempi della crisi climatica.
A 50 km dal Grande Raccordo Anulare, nel “selvaggio west italiano” dei Monti della Tolfa, una famiglia di cowboys ha una missione: continuare ad allevare il proprio bestiame e difenderlo dagli attacchi dei lupi, senza però compromettere l’equilibrio dell’ecosistema.
Narrato al femminile e girato nell’arco di due anni, il film esplora il profondo legame tra madre e figlia. Brianna, una bambina di 6 anni, in un dialogo con la madre Francesca, si interroga sulla sua vita e sul suo futuro, rivelando, col suo sguardo innocente e originale, alcuni temi urgenti con cui il lo spettatore è chiamato a fare i conti.
Francesca e Giulio, che gestiscono oltre 1.000 ettari, si sono accorti che ormai anche il pascolo brado, una pratica tramandata dai cowboy italiani, i butteri, non è più sostenibile e che la sopravvivenza dei loro animali è strettamente legata alla salute del suolo.
Secondo l’International Panel on Climate Change, attualmente il 30% dei suoli mondiali è degradato e si prevede un incremento fino al 90% nel 2050, con gravissime conseguenze nella produzione alimentare globale. Di fronte alla desertificazione del proprio territorio e alla perdita di molti capi per la siccità, Francesca e Giulio, decidono di intraprendere una rivoluzione verde applicando la teoria del pascolo rigenerativo. Già molto diffusa in diverse aree siccitose in Australia, in Africa e Stati Uniti, questa tecnica di pascolo, invece di utilizzare l’assistenza di fertilizzanti di sintesi e dell’agricoltura intensiva, ottimizza il rapporto tra suolo, piante e animali con mutui benefici per l’ecosistema. L’idea è semplice: imitare il comportamento dei grandi erbivori selvatici, che migrano costantemente per l’effetto delle stagioni e della predazione. Il movimento continuo dei pascoli accelera il ciclo di formazione dell’humus, favorendo la rigenerazione dei suoli e il sequestro del carbonio. Questa pratica, secondo la Royal Society, l’associazione scientifica britannica, è una soluzione a basso costo e a basso contenuto tecnologico che può contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici riducendo le emissioni di gas serra associate all'agricoltura convenzionale.
Un report della FAO, indica le filiere zootecniche come responsabili del 15% delle emissioni globali di gas serra di origine antropica. Ma, mentre sono ormai palesi gli impatti ambientali degli allevamenti intensivi, il consumo di carne a livello globale continua a salire, sempre secondo la FAO dalla seconda metà del novecento, è aumentato di 5 volte e le proiezioni al 2050 indicano il trend in continua crescita. Se da un lato si investe su prodotti come la carne sintetica e alternative vegane, la pratica del pascolo rigenerativo ci invita a riflettere sulle modalità di allevamento dei bovini e sul loro impatto sul pianeta. La piccola rivoluzione di Francesca e Giulio, come quelle di migliaia di allevatori in tutto il mondo che si oppongono alle pratiche intensive, testimonia che se usati nel modo corretto gli erbivori possono diventare un alleato nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico.
In una sorta di “richiamo della foresta” contemporaneo, Cose che Accadono sulla Terra, si confronta anche con un’altra tematica di estrema attualità: la presenza dei lupi. Attualmente la Commissione Europea sta discutendo la revisione dello status di protezione del predatore, la cui popolazione è stimata in circa 20.000 esemplari in Europa, di cui 3.300 solo in Italia, 950 nelle regioni alpine e 2.400 nel resto della penisola. Nel film di Michele Cinque, il lupo è un antagonista per la famiglia di allevatori ma nel corso della narrazione diventa, in un gioco di specchi, una metafora dell’uomo stesso. La presenza del lupo risveglia paure ancestrali ma anche la nostra appartenenza al mondo animale e la nostra responsabilità nella sua salvaguardia.