Ricostruzione, inchiesta, intervista e archivio si incrociano perpetuamente nella ricerca storica di "
Pensando ad Anna" di
Tomaso Aramini, presentato al Festival dei Popoli. Il fulcro di questo docu-fiction, che interrogandosi sul passato italiano (gli anni di piombo) sembra volerci far riflettere sull'antifascismo e sulla rivolta nel presente del nostro paese, è
Pasquale Abatangelo, uno dei detenuti politici la cui liberazione è stata richiesta dalle Brigate Rosse in cambio del rilascio di Aldo Moro. Aggressivamente fiorentino, innamorato dell'aspirazione alla libertà delle "
Black Panther" di George Jackson, eroinomane a inizio anni '70, sempre simpatizzante con gli hippie senza esserlo davvero, dopo un'infanzia traumatica vive in carcere e per strada, e la sua vita si trasforma in un perpetuo gesto di contesa: non disobbedienza civile, ma delinquenza politicizzata, non puro pacifismo, ma avanguardia del comunismo, idealista della lotta armata.
Il gioco del film sta tutto nella regia virtuosistica stralunata che Aramini decide di adoperare per descrivere la vita di Abatangelo, con piani sequenza movimentati che con fluidità si spostano dalla realtà dell'inchiesta alla finzione della ricostruzione storica, in uno spazio liminale che è set di tutta la vita del militante - ed egli stesso, Abatangelo, si aggira, commenta, si confronta persino con l'attore che lo interpreta, a sua volta imbarazzato di star "giocando" (recitando) per raccontare qualcosa di reale, ma anche commosso. Aramini a sua volta spesso è in campo per dirigere gli interpreti e la camera, come pedine che si inseguono alla ricerca di una verità che immagine e parola potranno restituire solo in parte; egli stesso nei primi minuti definisce Pensando ad Anna un "esperimento di etnografia performativa". In quest'ottica, ovvero quella di una messinscena 'forzata' fatta in collaborazione col soggetto stesso del documentario, l'occhio da reportage del regista sembra vicino allo sguardo compromesso e ambiguo di "
The Act of Killing" di Joshua Oppenheimer, uno dei film non-fiction più importanti dell'ultimo paio di decenni. I dubbi etico-esistenziali del capolavoro di Oppenheimer non sono ancora stati superati nella Storia, ma anzi possono diventare la chiave di lettura per interpretare il presente e il passato, un nuovo metodo documentaristico, uno sguardo ribaltato.
L'Anna del titolo è la donna della vita di Abatangelo, compagna di vita e di militanza politica, non soggetto del film ma co-protagonista e fantasma che appare tra un ricordo e l'altro. Il titolo del film viene proprio dal titolo del libro autobiografico di Abatangelo, Correvo pensando ad Anna, una frase che evoca un'immagine che è tutto il film: una corsa infinita e infernale verso un ideale irraggiungibile, col pensiero di un romanticismo astratto sempre dietro alla testa. Nel momento in cui la maggior parte delle enfatiche scene sono fredde e plastiche rappresentazioni di una violenza politica/classista iper-maschile, la delicatezza invisibile del fantasma dello sguardo di Anna diventa davvero il motore della visione come evidentemente può esserlo stato la vera Anna per il vero compagno Abatangelo. La trovata più infelice è l'inserto di immagini in intelligenza artificiale, montate confusamente in mezzo a foto e video d'archivio reale: creano un effetto allucinatorio che poco aggiunge all'esperienza di "
Pensando ad Anna" e anzi rischiano di inficiare l'impatto informativo delle sezioni prettamente storiche del film causa eccesso di contraffazione.
Pieno di dialoghi scritti ma comunque crudo, "
Pensando ad Anna" è un film di spazi e strategie, monologhi ideologici ed evocazioni di morte, che contribuisce coi suoi argomenti a un discorso politico infinito, e soprattutto riesce a inventare una propria prospettiva unica su una delle pagine più oscure e censurate della Storia italiana.
08/11/2024, 17:25
Nicola Settis