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BIF&ST 15 - Ivan Franek: “Il mio Ulisse,
migrante alla ricerca di sé stesso”


BIF&ST 15 - Ivan Franek: “Il mio Ulisse, migrante alla ricerca di sé stesso”
Protagonista del documentario “Kalavría” di Cristina Mantis, presentato in anteprima al Bif&st di Bari nella sezione Italiafilmfest/doc, l’attore ceco Ivan Franek, da anni “radicato” in Italia, prendendo parte a numerose e importanti produzioni tra cinema e tv: “Brucio nel vento” di Silvio Soldini, “La grande bellezza” di Sorrentino, “Noi credevamo” di Martone, le serie “Mare Fuori” e “Christian”, solo per citare alcuni titoli. Nel documentario di Mantis è un moderno Ulisse che vaga smarrito per le terre calabresi: gli incontri, i racconti che emergono sulla storia di quei luoghi lo guideranno verso la riscoperta di sé stesso. Lo abbiamo intervistato.

Com'è stato questo viaggio in Calabria?

“È stato veramente un viaggio mistico, stupendo, immerso nella natura calabrese, incontrando persone che venivano da questi luoghi speciali che abbiamo attraversato. Mi hanno raccontato la loro storia, le loro radici. Per me è stato un regalo potermi confrontare con loro, entrare in contatto e in armonia con la loro anima. Cristina ci ha condotti in questo viaggio ma c’è stata anche una grande improvvisazione, lei voleva che ci connettessimo in quanto persone, e ogni giorno era una scoperta, tutti gli incontri sono stati molto forti”.

Che cosa le hanno lasciato questi incontri?

“Ognuno è un’anima speciale, e ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa, si sono aperti con me e c’è stato un forte scambio tra di noi. Mi hanno raccontato non solo la storia della Calabria ma anche la loro storia personale, come la signora dei gabbiani con il suo sguardo forte, o “l’ultimo brigante” con i suoi occhi persi a sognare nei quali si vedeva tutto il dolore, tutta la felicità, la semplicità, l’intelligenza, veramente mi ha dato tantissimo. E anche l’incontro con Peppino, questo signore che parlava un po' americano perché ha vissuto negli Stati Uniti per un po’ di tempo, fantastico! E poi i luoghi, avevo avuto modo di lavorare in Calabria due volte in precedenza e mi sono innamorato di questi posti, La Sila, il mare, sono stato veramente fortunato a prendere parte a questo progetto”.

Com'è stato il rapporto con la regista Cristina Mantis?

“Senza parlare sapevamo quello che volevamo l’uno dall’altra in un’armonia di sguardi. Penso che Cristina sia contenta del risultato, abbiamo girato tantissimo, forse solo un decimo di quello che abbiamo registrato è presente nel film, è stato un grande lavoro per lei e il montatore”.

Lei interpreta un moderno Ulisse, un migrante che viene accolto da tutti, viene vestito e nutrito. Nella realtà purtroppo questo non accade sempre, i migranti, gli stranieri vengono guardati con sospetto, e non sempre vengono accolti con gioia. Perché secondo lei abbiamo così paura dell'altro, dello straniero?

“Perché non abbiamo fiducia in noi stessi, se siamo contenti di noi stessi possiamo accogliere gli altri. Il mondo sta impazzendo, dopo gli attentati a Parigi nel 2015 è cambiato tantissimo lo sguardo sul mondo musulmano, è una questione molto complessa. Perché, per esempio, una migrazione cinese non ci fa paura come una migrazione musulmana o africana? Ogni popolo porta con sé la sua cultura, le sue tradizioni, il suo modo di vivere, e la paura dell’altro è legata alla non conoscenza, alla non apertura, alla chiusura. Nella nostra società siamo portati ad avere timore di tutto, siamo costantemente martellati dall’orrore da parte dei media. È dentro di noi, quello che non conosciamo ci fa paura”.

Invece Ulisse è proprio il simbolo della conoscenza, dell'uomo che parte per esplorare, per apprendere, incontrando persone e popoli diversi. Perché il mito di Ulisse è ancora così affascinante?

“Per l’umanità che porta in sé stesso. Per esempio, per me Dio è movimento, è apertura, è curiosità di conoscere, e io penso che se perdiamo la curiosità non ci rimarrà niente. Ulisse con la sua libertà di muoversi, con la sua libertà di non essere fisso in un posto non fa parte di un mondo materiale, lui è sempre alla ricerca di sé stesso, del suo io interiore”.

In “Kalavría” il naufragio del suo personaggio è la metafora del naufragio dell'umanità, funestata da guerre e genocidi, la regista sembra dirci che l’uomo può risollevarsi solo attraverso l'amore, l’accoglienza. Lei cosa ne pensa?

“Penso che sia giusto come pensiero, ma la storia dell'umanità è così, è sempre piena di guerre, oggi abbiamo anche la questione dell’emergenza ambientale, stiamo vivendo quasi una terza guerra mondiale, con Putin paragonato a Hitler, ci sono conflitti in Europa, in America Latina, in Africa, si combatte sempre per il potere, come sulla striscia di Gaza, e se guardiamo a tutto questo il pensiero di rinascita risulta un po' utopistico secondo me. Sarebbe fantastico fermarsi anche per il bene dell’ambiente, quando siamo stati in lockdown durante la pandemia di Covid la natura è rinata perché è forte ma noi la stressiamo, la danneggiamo, non pensiamo al futuro, i soldi sono più forti di tutto. Ritrovare l'amore, il rispetto, l’umiltà sarebbe giusto in questo momento, però è difficile”.

Lei ha lavorato tanto in Italia e continua a farlo, che rapporto ha con il nostro Paese?

“lo sono molto contento quando sono in Italia, i progetti a cui ho preso parte sono interessanti, le persone sono stupende. Mi sento di fare parte di questo Paese anche se sono della Repubblica Ceca e il mio indirizzo ufficiale è in Francia, ho conosciuto la vostra cultura vivendola, sono quindi un mix di tre culture diverse e ne sono veramente felice, sono stato sempre ben accolto, però, come dicevo prima, io sono stato un migrante privilegiato”.

18/03/2024, 19:32

Caterina Sabato